Un camion di aiuti assaltato, i miliziani di Hamas che sparano per disperdere la folla e uccidono un ragazzino. Ciò che secondo i racconti di alcuni testimoni è accaduto domenica a Rafah, nel sud della Striscia, è la fotografia più cruda e nitida del disastro umanitario che si sta consumando a Gaza. Una popolazione disperata, con il 93% dei civili che rischiano di morire di fame dopo due mesi e mezzo di bombardamenti israeliani, costretta a sgomitare per una bottiglietta d’acqua, un pezzo di pane o una scatoletta di tonno che nell’enclave palestinese possono fare la differenza tra la vita e la morte.

Così, quando decine di persone si sono lanciate su uno dei troppo pochi camion di aiuti fatti passare dal valico con l’Egitto, i miliziani del partito armato palestinese hanno esploso spari di avvertimento in aria. Il rumore dei fucili e delle pallottole non ha però fatto desistere la popolazione, ormai abituata ai boati dei missili israeliani, così gli islamisti hanno di nuovo sparato dei colpi. E questa volta, a rimanere per terra, senza vita, è stato un ragazzino. Una violenza che ha provocato la risposta dura di chi ha assistito alla scena, con la folla che si è lanciata contro un vicino commissariato di polizia attaccandolo a sassate.

Sul fronte diplomatico, però, qualcosa sembra di nuovo muoversi dalla fine della prima tregua tra Israele e Hamas. L’attenzione è tutta al Cairo, dove è arrivata una delegazione del Jihad Islamico e dove sono presenti anche alcuni rappresentanti di Hamas. A quest’ultimi l’Egitto ha proposto un piano in tre fasi per un cessate il fuoco duraturo, come scrive il media saudita Asharq: “La prima fase prevede l’avvio di una tregua umanitaria della durata di due settimane, prorogabile per due o tre settimane, durante le quali Hamas dovrebbe liberare 40 ostaggi israeliani, donne e bambini (sotto i 18 anni) e maschi anziani, soprattutto malati”. In cambio di questo, Israele dovrebbe “rilasciare 120 prigionieri palestinesi delle stesse due categorie”. Durante la seconda fase bisognerà “stabilire un dialogo nazionale palestinese sotto il patrocinio egiziano con l’obiettivo di ‘porre fine alle divisioni’ e formare un governo di tecnici indipendenti che supervisionerà le questioni relative agli aiuti umanitari, il dossier per la ricostruzione della Striscia di Gaza e aprirà la strada alle elezioni generali e presidenziali palestinesi“. Infine, secondo le fonti di Asharq, si arriverà a “un cessate il fuoco totale” e a “un accordo globale sullo scambio di prigionieri” che dovrebbe includere anche i prigionieri palestinesi “con condanne elevate e coloro che sono stati arrestati da Israele dopo il 7 ottobre”. La fase finale dovrebbe prevedere “il ritiro israeliano dalle città della Striscia di Gaza e la possibilità per gli sfollati di ritornare anche nelle loro aree della Striscia settentrionale”.

Mentre la fame, le bombe e le malattie continuano a uccidere a Gaza, il presidente palestinese Abu Mazen parla invece con entusiasmo di ciò che sta avvenendo. Parole che testimoniano la consapevolezza che né Israele né gli Stati Uniti hanno intenzione di insediarlo alla guida di una Palestina unita, compresa Gaza, sotto la bandiera dell’Autorità nazionale palestinese: questo Natale “segnerà la fine della guerra israeliana contro il popolo palestinese a Gaza, così come in tutti i territori palestinesi occupati”, ha detto augurando “prosperità e stabilità al popolo palestinese e a tutte le nazioni. Il sole della libertà e dello Stato indipendente con Gerusalemme capitale sta inevitabilmente sorgendo, è quasi a portata di mano”.

Secondo lui, le vittime del più sanguinoso conflitto nella storia della guerra israelo-palestinese porteranno un cambiamento: “Il fiume di sangue, gli immensi sacrifici, le difficoltà e l’eroica resilienza del nostro popolo nella sua terra sono il cammino verso la libertà e la dignità. Il popolo palestinese è determinato a continuare la lotta per ottenere i propri diritti legittimi, primo fra tutti il diritto a uno Stato indipendente e pienamente sovrano”.

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