Lidia Undiemi, giurista economica, esperta di vertenze di lavoro è autrice di La lotta di classe nel XXI secolo. La nuova offensiva del capitale contro i lavoratori, edito da Ponte delle Grazie. Ha scritto diversi articoli per criticare l’architettura e il funzionamento del Mes e la riforma che l’Italia si è sinora rifiutata di ratificare.

Cosa c’è che proprio non va in questa riforma del Mes?

Innanzitutto è opportuno ricordare che il Mes viene istituito con trattato nel 2012 come organizzazione finanziaria internazionale, anche se la base dello strumento è l’art. 136 del Tfue, ed è quindi in tal senso “sganciata” dalla struttura istituzionale dell’Ue. È quindi un’entità a sé stante, fuori dalle istituzioni democratiche dei singoli stati, dunque senza un vero e proprio controllo politico e democratico, che decide e impone le riforme al paese in difficoltà, in particolar modo compiscono le riforme “anti sociali” che hanno impatti negativi significativi sulla popolazione. È una specie di super-governo che prescinde dal consenso e dal voto popolare, ripeto…non legittimato democraticamente, ma che interviene a tutti gli effetti come una istituzione politica, con misure che vanno dal taglio dei posti letto negli ospedali, alla riduzione dei servizi scolastici sino a incisive riforme sulle retribuzioni e sulle pensioni. Austerità, insomma. Questo può accadere quando uno stato – formalmente per scelta ma come nel caso di Cipro e della Grecia perché costretti dalla crisi finanziaria – si rivolge al Mes per ottenere denaro che gli consenta di superare le turbolenze che sta incontrando sui mercati.

Non è comprensibile che chi presta dei soldi chieda anche degli interventi che ne rendano più semplice la restituzione?

È il caso di dire che la democrazia, la volontà popolare e i diritti sociali non possono essere oggetto di scambio in cambio di denaro. Verrebbero meno le basi della democrazia. Faccio notare che nemmeno la peggiore delle banche godrebbe di queste prerogative e sarebbe in grado di imporre questo tipo di misure. E abbiamo visto i disastri sociali che sono stati provocati in special modo in Grecia, con l’applicazione di queste condizionalità, oppure a Cipro con il prelievo forzoso sui conti correnti. Ci tengo a precisare un punto. Se la Banca centrale europea fa il suo lavoro, non c’è nessun bisogno di un Mes che aiuti gli stati. Infatti il fondo di fatto fu annichilito dalle parole pronunciate nel 2012 dall’allora presidente Bce Mario Draghi, il celebre “Whatever it takes”. Da quel momento in poi nessuno ha fatto più ricorso al Mes. I tedeschi hanno fatto causa alla Bce affermando che non ha tra i suoi doveri anche quelli di salvaguardare la zona euro dalle crisi finanziarie. Ma i giudici europei chiamati a giudicare il contenzioso hanno detto qualcosa di diverso, sentenziando che tra i compiti di Francoforte ricade, senza dubbio, anche la difesa della stabilità, ovvero della sopravvivenza, della zona euro, che se ci pensiamo bene include la stabilità finanziaria.

Veniamo all’oggi, quello di cui si parla non è tanto il Mes in sé quanto della sua riforma che, fondamentalmente, non fa altro che attribuire al fondo un altro compito. Diventa una rete di salvataggio per le banche in crisi qualora, per salvarle, non sia sufficiente il fondo finanziato dalle stesse banche. Cosa c’è che non va in questo?

La riforma fondamentalmente, serve per rianimare una organizzazione, come già detto, di fatto marginalizzata dalla Banca Centrale Europea, per cui riformare il Mes significa ridargli la forza impositiva nei confronti degli stati che aveva perso, quella forza che in nome della stabilità finanziaria della zona euro ha tolto risorse finanziarie ai cittadini, ovvero allo stato sociale, per trasferirle alle banche, come a esempio accaduto in Grecia – paese simbolo dei commissariamenti del Mes – per cui l’austerità imposta ai greci serviva per far rientrare i crediti delle banche tedesche e francesi.

Con la riforma sarebbe diventato anche una rete di salvataggio per le banche in crisi qualora, per salvarle, non sia sufficiente il fondo finanziato dalle stesse banche. Cosa c’è che non va in questo?

Posto che anche con la versione attuale del trattato il Mes può intervenire per supportare gli stati nei salvataggi bancari, come accaduto in Spagna, quindi tutt’al più la domanda è come mai farlo con nuovi strumenti agganciati all’Ue, qual è appunto il Fondo di risoluzione unico. Si ritorna alla riflessione di partenza, per cui la riforma del 2019 è nulla di più di un tentativo di mantenere in vita il Mes, ritagliandoli un ruolo, comunque piuttosto marginale – ma non per questo del tutto innocuo – tra gli spazi lasciati liberi dalla Bce. Anche nel caso di salvataggi bancari il Mes ha nel suo dna le condizionalità, quindi sì, in nome dei salvataggi bancari potremmo fare la fine della Grecia. Ricordiamo che durante il Covid abbiamo visto come il Mes abbia cercato, verrebbe da dire disperatamente, di trovarsi una funzione, offrendo prestiti sanitari, che qualcuno ha provato a piazzare discutendo di accesso ai fondi senza alcuna condizionalità. Ciò nonostante nessuno stato vi ha fatto ricorso. Il motivo è molto semplice, non può esistere un Mes senza condizionalità, poiché previsto dalle sue norme fondanti. L’apparato burocratico del Mes è pagato molto bene e gestisce tanti soldi, viene quindi da pensare che chi ne trae beneficio abbia tutto l’interesse a mantenerlo in piedi.

L’Italia è l’unico paese che non ha ratificato la riforma. Non è, comunque la si pensi sul Mes, una scelta troppo penalizzante sul piano politico e nei rapporti con gli altri partner europei?

Ma se una cosa è sbagliata perché appoggiarla? A mio parere in Italia c’è stata una discussione più consapevole che altrove, abbiamo letto e discusso il testo del trattato, i protocolli d’intesa relativi ai commissariamenti, il testo della riforma. E posso assicurare che i piani di commissariamento sono documenti agghiaccianti, in cui l’interesse sociale viene subordinato a logiche di mercato. Ecco perché trovo davvero assurdo che la sinistra appoggi uno strumento che è quanto di più anti sociale possa esistere. Basti solo pensare ai diritti dei lavoratori e ai contratti collettivi nazionali di lavoro. Le poche volte in cui il Mes è stato usato ha fatto solo del male alla gente. Vediamo se, almeno per una volta, riusciamo a far prevalere dei principi democratici sugli interessi finanziari.

Ha ancora speranze sulla possibilità che la riforma fallisca?

Assolutamente sì. Anzi, contrariamente da quel che sembra, la partita del Mes è quasi vinta. L’Ue è fatta di correnti politiche e sinora tramite la Bce ha prevalso quella che favorisce una marginalizzazione di questo strumento. Anche Mario Draghi è stato in questi anni un oppositore silente del Mes e non è un caso che, durante la sua presidenza del Consiglio la ratifica della riforma non sia mai stata presa in considerazione. D’altronde Draghi ambisce a rafforzare l’unione e quindi non si può che guardare con diffidenza a strutture esterne che hanno poteri di ingerenza soprattutto nei confronti degli stati più deboli. Riguardo ai partiti, deve essere chiaro che per la ragioni esposte questi potranno solo subire dei danni in termini elettorali nell’appoggiare la riforma. E’ solo questione di tempo.

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