“Non sono affatto convinta dell’analisi fatta da Bankitalia”. Parole della ministra del Lavoro Marina Calderone, in conferenza stampa nel primo giorno utile a presentare le domande per l’Assegno di inclusione (Adi), la misura di contrasto alla povertà che dal primo gennaio sostituirà definitivamente il Reddito di cittadinanza. In un rapporto dal titolo “La revisione delle misure di contrasto alla povertà in Italia”, la Banca d’Italia ha analizzato le diverse platee del Rdc e dell’Adi alla luce delle nuove regole introdotte dal governo che, secondo la pubblicazione riduce di 900mila famiglie (nuclei) i potenziali beneficiari: “Si stima che i requisiti anagrafici ed economici più restrittivi dell’AdI riducano la platea dei potenziali beneficiari da 2,1 a 1,2 milioni rispetto all’RdC”, è scritto.

La ministra, come ha dichiarato, non è affatto convinta. Tanto che ci si attenderebbe una smentita dati alla mano. Non proprio: “Si tratta di serie numeriche di cui non è enunciata la metodologia di rilevazione“, continua Calderone, che condivide una sua “sensazione”. E cioè “che non si sia guardato agli strumenti e alla riforma introdotta, mettendo insieme i due capitoli, il Supporto per la formazione e lavoro e l’Assegno di inclusione”. Partiamo dalla metodologia, che nel rapporto è così enunciata. L’analisi è realizzata con il noto BIMic, “il modello di microsimulazione statico e non comportamentale del sistema tax-benefit della Banca d’Italia”. Che scrive: “L’AdI individua una platea di potenziali beneficiari di 1,2 milioni di nuclei, 900.000 in meno rispetto all’RdC”. Calderone, che invece parla di famiglie, ribatte: “Al primo gennaio 2023 erano 763mila i nuclei familiari percettori di Reddito di cittadinanza in condizione di fragilità: e questa è la nostra stessa platea per l’Adi, gli stessi numeri che consideriamo utili per dimensionare l’Assegno di inclusione”. Possibile che Bankitalia abbia sovrapposto, come da sensazione della ministra, cose che non c’entrano? L’unica indicazione in merito è sotto al grafico che misura le diverse platee di Rdc e Adi, dove gli autori precisano che “la stima non tiene conto dell’SFL“, il Supporto formazione e lavoro, appunto. Si tratta dell’indennità di formazione da 350 euro al mese per un massimo di 12 e non rinnovabile che, a differenza dell’Adi, non è una misura di contrasto alla povertà, che poi è l’oggetto del rapporto di Bankitalia. E’ destinata ai cosiddetti “occupabili”, persone in povertà (Isee sotto i 6.000 euro) tra i 18 e i 59 anni senza minori, disabili o over 60 nel proprio nucleo, che per riceverla devono frequentare corsi di formazione o partecipare ai Progetti utili alla collettività (Puc) dei comuni.

Al SFL per gli “occupabili” Bankitalia dedica infatti un altro paragrafo del rapporto. “Secondo le stime del Governo – si legge – la platea di famiglie con individui potenzialmente idonei a ricevere l’SFL (322.000 nuclei nel 2024) è molto più contenuta (quasi la metà) di quella dell’AdI, anche a causa della più stringente prova dei mezzi (soglia ISEE pari a 6.000 euro invece di 9.360); inoltre, la platea si ridurrebbe nel tempo, fino a più che dimezzarsi in soli 3 anni, per effetto della durata limitata e della non rinnovabilità del sostegno (284.000 nuclei nel 2025, 223.000 nel 2026, 133.000 dal 2027)”. Alla platea degli occupabili, che tra lo scorso agosto e e il prossimo 31 dicembre usciranno dal Reddito di cittadinanza, per Calderone si tratta di soggetti che comunque avrebbero trovato un’altra strada che non il sussidio. Quale non lo dice. “Sui 240 mila ex rdc ma occupabili ne sono stati confermati, con i nuovi criteri, meno di 70mila: i circa 170mila dunque che restano fuori, evidentemente, hanno trovato un’altra collocazione”, spiega ancora la ministra. “Se le persone non fanno domanda hanno evidentemente un altro percorso da portare avanti”. La domanda è ovviamente quella per il SFL, presentabile dallo scorso 1 settembre. Come ha scritto il Fatto, il passaggio dalla nuova piattaforma, il Sistema di Inclusione Sociale e Lavorativa (Siisl), ha creato enormi problemi, tanto che c’è chi segue corsi e a tre mesi dalla domanda non aveva ancora visto un euro. Insieme a un sussidio di appena 350 euro da percepire a patto di frequentare corsi che in molte regioni non sono ancora partiti, gli ostacoli procedurali potrebbero aver scoraggiato parte di una platea già in difficoltà. Non per la ministra: “Se lei mi chiede se non fanno la domanda perché l’iter burocratico sia troppo difficile, rispondo di no”.

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