Giannis Antetokounmpo è on fire!
La scorsa notte è come se tutti gli dèi greci si fossero abbattuti sui poveri Indiana Pacers. Massimo in carriera, 64 punti (14 rimbalzi e 11 assist), tirando dal campo con percentuali pressoché mistiche, al limite dell’irriverenza per la mole di gioco che ha macinato (20 canestri su 28 tiri). Giannis Antetokounmpo ha ricordato a tutti perché il soprannome The Greek Freak non descrive (solo) uno specimen fisico fuori dal comune, bensì uno stile di gioco fatto di tecnica, movimenti, e soluzioni prima di lui impensabili per un quasi 7-piedi. A un certo punto, su un pocket-pass di “Demon” Lillard, ha virato sul perno destro (per schiacciare a due mani) così velocemente da invertire quasi la rotazione della terra. La NBA è piena di lunghi che sanno mettere palla a terra. Karl-Anthony Towns, Porzingis, anche lo stesso Embiid può palleggiare in modo fluido per essere un centro. In passato, gente come Vin Baker, Derrick Coleman o Kevin Garnett potevano benissimo partire in palleggio e non fermare la sfera con l’uomo addosso, cercando il dribbling. Non è banale, per gente così alta. Richiede coordinazione, velocità di mani e di piedi, controllo della sfera, ma anche capacità di saper coprire la palla con il corpo dalle mani del difensore. Patrick Ewing – per citare un esempio negativo – è stato uno dei centri più forti della storia. Forse la mano più dolce nel ruolo, quando riceveva sul gomito era virtualmente immarcabile. Ma a 2.15, Ewing quando provava a palleggiare, come minimo si dava la palla su un ginocchio. Giannis, invece… beh Giannis è diverso. Il Mostro Greco è un vero e proprio palleggiatore di 2.11. Non sa solo semplicemente mettere palla a terra.

Dove sta la differenza? Sta nel ball-handing in velocità, sia in corsia centrale che laterale. Sta nel saper trattare la palla con entrambe le mani anche se pressato. Sta nei cambi di mano in traffico. Nella raffinatezza del dietro-schiena. Sta negli stop-and-go, nelle variazioni di ritmo, nei cambi di velocità a tutto campo. Un vero palleggiatore sa come raccogliere il palleggio e trovare la giusta coordinazione per scaricare al compagno. L’efficacia del suo gioco, la capacità di passaggio, i coast-to-coast e il terzo-tempo staccando da centrocampo nascono proprio da lì. Poi c’è la sua killer-application: la velocità nel gioco di piedi, la capacità di gestire i passi in traffico. Fateci caso, in penetrazione sa sempre dove mettere i piedi, quando accorciare o allungare il passo in base ai movimenti del difensore, quando fare euro-step, quando arrestarsi a due-tempi. Questa dote, unita a quelle braccia interminabili, quel corpo e quel tocco in avvicinamento, rappresentano un rebus per ogni difesa. Certo, miglioramenti al tiro da fuori non se ne vedono all’orizzonte, perché il 22.5% da oltre l’arco è ai limiti della decenza. Però di punti ne mette 32 a partita, di rimbalzi ne tira giù quasi 11 di media, conditi da 1.3 stoppate, con una naturale candidatura a MVP (sarebbe il secondo), con i Milwaukee Bucks che sono secondi a Est e tallonano i Celtics. Ci sarebbe poi quello che è successo subito dopo la sirena finale: il greco che corre negli spogliatoi per recuperare il pallone dei record, la mischia con i giocatori avversari, la “chiamata” dei suoi compagni per andare a prendere la sfera a spicchi dalle mani degli avversari che lo avrebbe voluto riservare a un loro compagno per il primo punto realizzato nella lega. Questo, ecco, molto meno da MVP.

Klay Thompson, va via da San Francisco?
Secondo alcune voci – girate in USA questa settimana – Klay Thompson pare aver rifiutato a inizio stagione un’estensione contrattuale da parte dei Golden State Warriors da 48 milioni di dollari per due anni. Dicono, le stesse voci, che attualmente non ci sarebbe accordo per il rinnovo di uno dei più importanti giocatori della storia della franchigia. Sembra incredibile, se si pensa a quello che Klay e Steph Curry hanno combinato insieme (4 Titoli NBA e alcune tra le più eccitanti prestazioni al tiro all-time). Al di là di ciò, è bene mettere alcuni punti fermi. Stiamo parlando di un giocatore che – al picco della carriera – è stato uno dei migliori tiratori in spot-up di sempre. La tecnica di tiro di Klay più la guardi e più pensi di poterla imitare. Stigmate dei migliori. In realtà, è di una complessità e un equilibrio straordinari. Nasce tutto dalle piccole cose. Dai piedi, per esempio posizionati scientificamente verso il canestro e a distanza sempre ampia tra loro sia in pull-up-jumper che in catch-and-shoot (molti giocatori invece riducono la distanza dei piedi quando tirano dal palleggio). Poi c’è il perfetto allineamento di spalle, gomiti e polsi, le cui giunture si muovono all’unisono già prima che i piedi si stacchino da terra per la sospensione. Infine, Klay mette il gomito della mano-forte in asse al millimetro con il canestro per bilanciare la direzione del tiro (col gomito troppo verso l’esterno, il tiro tenderà a sinistra; col gomito verso l’interno, il contrario). Stiamo parlando di un “killer” che è stato in grado di mettere 14 tiri da tre in una sola partita. Che ne ha messi 37 in un solo quarto di gioco (sarebbero tanti punti anche per un’intera gara). Di certo, è da ciechi non vederlo, Thompson sta giocando il suo peggior basket in carriera. Come mai? Tre elementi: crociato nel 2019, tallone d’Achille nel 2020, e alla voce “età” si scrive 34. Non sono cose di poco conto. È lampante sul campo. Ha perso mobilità laterale in difesa (era considerato un ottimo stopper). Sembra avere meno forza nelle gambe quando deve preparare il tiro. Ha iniziato a subire le serate storte mentalmente, iniziando a selezionare male le sue conclusioni e a peggiorare ulteriormente le cose. Le cifre non gli fanno onore: 16 punti a partita con un misero 40,7% dal campo e di poco sopra il 36% da tre (minimo in carriera). I Warriors ne risentono e stanno al 41% di vittorie in stagione. C’è chi giura che alla fine, dopo tutto, rimarrà a San Francisco. Vedremo.

That’s all Folks!

Alla prossima settimana.

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