Non basta a Viktor Orban lo sblocco di 10,2 miliardi di fondi strutturali che la Commissione europea lo scorso anno aveva congelato a causa del mancato rispetto delle norme sullo Stato di diritto. Il ramoscello d’ulivo arrivato mercoledì non ha cambiato le posizioni del presidente ungherese: no a negoziati per l’adesione dell’Ucraina all’Unione europea e a ulteriore sostegno finanziario a medio termine per il Paese aggredito dalla Russia. Prima della riunione del Consiglio Ue a Bruxelles, che ha come primo punto all’ordine del giorno proprio l’ingresso di Kiev, il leader di destra ha ribadito che l’allargamento “è un processo basato sul merito, giuridicamente dettagliato, che ha delle precondizioni. Ce ne sono sette per l’Ucraina e anche nella valutazione della Commissione europea tre su sette non sono state raggiunte, per cui non c’è motivo per negoziarla”.

Per smuoverlo, in mattinata, ha avuto un incontro “molto teso” con il presidente del Consiglio Ue Charles Michel, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, il cancelliere tedesco Olaf Scholz e il presidente francese Emmanuel Macron. Successivamente anche la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ha avuto un bilaterale col leader di Budapest, dopo che nella notte, dopo aver visto Macron e Scholz, aveva preannunciato l’incontro con l’omologo che su temi come la promozione della natalità è molto vicino alle posizioni di Fratelli d’Italia.

Orban ha incassato ieri lo sblocco di 10,2 miliardi di fondi di coesione, ma la Commissione ha confermato il meccanismo di condizionalità di bilancio sullo Stato di diritto e tiene congelati gli altri 21 miliardi del Pnrr e 6,3 miliardi di altri programmi per la coesione. Sull’adesione di Kiev, comunque, il fronte dei paesi tiepidi potrebbe allargarsi oltre l’Ungheria e l’Austria. Alcuni vorrebbero far passare il principio che, se non ci sono i fondi per le esigenze nazionali non dovrebbero esserci nemmeno per l’Ucraina. L’Italia, invece, punta molto a far passare l’avvio dei negoziati di adesione anche alla Bosnia-Erzegovina.

L’Ungheria cerca di imporre la propria linea anche sul tema dei fondi a sostegno di Kiev spiegando che l’inclusione del pacchetto di aiuti nel bilancio comunitario rappresenta una “linea rossa” che può essere superata solo dopo le elezioni europee, quando sarà insediata una nuova Commissione. Fino ad allora, secondo Budapest, se l’Ue vuole garantire un sostegno maggiore dovrà farlo attraverso un fondo ad hoc fuori dal bilancio.

Sono tanti i punti di scontro su cui i leader Ue dovranno trovare una quadra. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha elaborato anche le bozze negoziali per la revisione del bilancio. Nell’ultimo testo la proposta iniziale della Commissione di aumentare il bilancio 2021-2027 di 66 miliardi è stata molto ridimensionata, a soli 22,5 miliardi. I fondi per la migrazione passerebbero da 12,5 a 8,2 miliardi. Questo dettaglio scontenta l’Italia, che però in questo modo non dovrebbe aumentare il proprio contributo alle casse comuni della Ue rispetto a quello che già versa. E di fronte ai rilievi della Ragioneria generale anche Roma, alla vigilia del ritorno delle regole del Patto di Stabilità – nuovo, se si raggiugerà l’accordo nei prossimi giorni, o vecchio, se tornerà in vigore – ha interesse a tagliare le cifre previste inizialmente.

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