Contratti a termine di brevissima durata, a chiamata solamente di facciata, ma che secondo i lavoratori vengono di fatto utilizzati dalla Scala come strumento di pressione psicologica nei confronti delle decine di maschere che tutti i giorni lavorano affinché lo storico teatro possa aprire i battenti agli spettatori. È il lato oscuro che accompagna l’inaugurazione teatrale tra le più importanti del mondo: da un lato lo sfarzo e il lusso opulento della tradizionale Prima di Sant’Ambrogio, dall’altro il precariato di giovani tra i 18 e i 25 anni. “Lavoriamo con contratti a chiamata senza indennità di disponibilità – racconta Beatrice Sella a ilfattoquotidiano.it – Se sulla carta siamo liberi di non rispondere alla chiamata, in realtà la direzione esige una sorta di reperibilità totale tutti i giorni della settimana. In sostanza puoi non accettare, ma se non rispondi a un po’ di chiamate ti fanno pressione”. “Non è una prestazione occasionale, siamo di fatto indispensabili. Se noi domani decidessimo di non rispondere alle chiamate, la Scala non riuscirebbe ad aprire”.

Dalle testimonianze emerge che il lavoro di fatto è continuativo e stabile, dunque il contratto a chiamata senza indennità di disponibilità non sarebbe comunque la tipologia più corretta per assumere il personale. Si tratta di un lavoro sostanzialmente full time, non tanto per il monte orario quanto per il numero di giorni che occuperebbe: sostanzialmente 6/7 giorni a settimana, almeno secondo i desiderata della direzione del teatro. La retribuzione delle maschere non è oraria ma a prestazione: 45 euro lordi indipendentemente dalla durata dello spettacolo, calcolata su 4-5 ore da contratto.

Non sono solamente le condizioni economiche e contrattuali a essere problematiche all’interno del Teatro alla Scala, ma anche e soprattutto il clima di pressione che – raccontano i lavoratori – viene messo in atto dalla direzione: “Ci sono state mail e richiami ufficiali sul tasso di risposta, ad esempio. C’è stato il caso di una ragazza che non rispondeva a sufficienza che è stata richiamata in direzione perché considerata ‘assenteista‘. Alla fine si è dimessa per la pressione psicologica“.

In tutto le maschere della Scala “sono 101, di cui solo 30 hanno un contratto a tempo indeterminato ottenuto facendo causa, il resto della squadra viene assunto con contratti da 2, 4 o 6 mesi. Fino all’anno scorso i contratti erano di durata minima un anno, da quest’anno invece la direzione del Teatro ha introdotto questo “spezzatino“: se non sei sempre pronto ad accettare, non rinnoviamo il contratto”, prosegue il racconto di Beatrice.

Per la prima volta, la scorsa settimana una delegazione di maschere impiegate dal Teatro alla Scala è scesa in piazza per protestare contro le condizioni imposte da quella che può essere considerata una delle più prestigiose istituzioni culturali del Paese ma né dalla Fondazione del Teatro alla Scala né da Palazzo Marino è giunta alcuna risposta concreta.

Se all’apparenza la questione potrebbe sembrare del tutto marginale, nella sostanza la vicenda delle maschere del Teatro alla Scala assume anche contorni politici: nonostante il bilancio della Fondazione Teatro alla Scala, presieduta proprio dal sindaco di Milano Beppe Sala, sia in attivo, con 694mila euro di utile nel 2022, il Teatro più prestigioso d’Italia sembra non avere intenzione di proporre condizioni più dignitose alle maschere che permettono lo svolgimento di prestigiosi spettacoli. Eppure in passato proprio Sala ha più volte messo in luce le difficoltà dei giovani che scelgono Milano per studiare o lavorare, sottolineando come il costo della vita in città, nonché le garanzie richieste per affittare stanze e case nel comune meneghino contrapposti alle condizioni professionali proposte, spesso costituissero un ostacolo alla costruzione di un futuro. Anche un contratto come quello del Teatro alla Scala, però, rende di fatto impossibile qualsiasi forma di reale indipendenza economica.

Dalla direzione del Teatro le risposte sono state vaghe: dalle colonne del Giorno infatti il Sovrintendente e Direttore artistico del Teatro alla Scala, Dominique Meyer, ha motivato la tipologia contrattuale scelta sostenendo sia necessaria per contrastare episodi di bagarinaggio avvenuti nel corso del tempo: “Accuse totalmente folli, Meyer si riferisce a episodi che risalgono a moltissimo tempo fa e che comunque non riguardano noi e non giustificano minimamente il trattamento che ci riservano”, chiosa Beatrice. Ilfattoquotidiano.it ha provato a contattare sia la Fondazione del Teatro alla Scala sia l’ufficio stampa del sindaco Sala per una replica non ottenendo alcuna risposta.

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