Il diritto alla casa in Italia è un diritto esigibile?

Il tema del diritto alla casa, in quanto diritto, è stato molto dibattuto, in passato, molto meno negli anni 2000. Questo anche perché, da parte della politica, affermare il diritto all’abitare quale diritto avrebbe significato mettere alla berlina le politiche abitative finora attuate. Come si sarebbero potute attuare e conciliare, in passato come oggi, politiche liberiste di esclusione sociale con famiglie lasciate nelle graduatorie, famiglie sfrattate lasciate per strada, famiglie in povertà assoluta preda di affitti insostenibili, se il punto di riferimento giuridico e politico fosse stato il diritto all’abitare?

Eppure più atti dimostrano che in Italia il diritto all’abitare, anche se non previsto nella Costituzione, è affermato in impegni internazionali ratificati dal nostro Paese e anche indirettamente in alcune sentenze della Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale ha «incluso nel catalogo dei diritti inviolabili» della persona il diritto all’abitazione, che «rientra fra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione» (sentenza n. 217 del 1988 e sentenze n. 128 del 2021, n. 44 del 2020), poiché è compito dello Stato assicurare «che la vita di ogni persona rifletta ogni giorno e sotto ogni aspetto l’immagine universale della dignità umana» (sentenza n. 217 del 1988).

La Corte Costituzionale, quindi, ha riconosciuto la valenza di diritto alla casa e più ampiamente all’abitare in quanto diritto alla dignità, nonché basilare per la vita di ogni persona. Un diritto che però risulta subalterno alle risorse finanziarie ad esso destinate, sul quale pesa come un macigno l’assenza della definizione di Livelli essenziali delle prestazioni (LEP) uniformi sul territorio nazionale, che di fatto ne pregiudica l’effettiva esigibilità. E l’assenza di LEP uniformi a livello nazionale si è dimostrata nella modifica del titolo V della Costituzione e con il demandare le politiche abitative pubbliche alle Regioni e province autonome di Trento e Bolzano, con il risultato di avere oggi 20 criteri di accesso all’edilizia pubblica, 20 criteri di permanenza nelle case di edilizia residenziale pubblica e 20 modalità di applicazione di canoni di locazione. Una autonomia differenziata ante litteram che chi opera nel campo del diritto all’abitare ben conosce.

Basterebbero i riferimenti citati alla Corte Costituzionale per dire che il diritto all’abitare è un diritto effettivo al quale lo Stato deve ottemperare.

Ma c’è dell’altro. L’Italia è nell’Unione europea e nell’Unione europea il tema del diritto all’abitare è stato oggetto di interventi di merito impegnativi. La Carta sociale europea (CSE), nel testo novellato nel 1996 ed entrata in vigore dal 1999, sancisce all’art. 31 che “tutte le persone hanno diritto all’abitazione”. Le Parti, ovvero gli Stati aderenti, s’impegnano a “considerarsi vincolate alla tutela del diritto all’abitazione. Per attuarlo, gli Stati firmatari devono mettere “in atto una serie di adempimenti, finalizzati ad assicurare l’accesso a un’abitazione di livello sufficiente a consentire un tenore di vita dignitoso per tutti e a ridurre al minimo lo status di senzatetto”.

Il diritto all’abitazione non è solo dichiarato dalla CSE, ma anche nella Carta dei diritti fondamentali dell’Ue (CdfUe), che all’art. 343 disciplina l’assistenza sociale e in particolare l’assistenza all’abitazione, da intendersi quale insieme di interventi finalizzati a consentire la vita delle persone in un ambiente dignitoso, anche per coloro i quali non dispongano di mezzi sufficienti per accedere al mercato immobiliare.

Gli articoli 31 della Cse e 34 della CdfUe rafforzano una lettura del diritto all’abitazione, dandole un significato molto forte. Proprio sulla base di quanto affermato nell’articolo 31 della Carta sociale europea e dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la Corte di Giustizia si è espressa partendo dal presupposto che il diritto all’abitazione sia un diritto fondamentale da ricomprendere nell’ambito delle politiche di inclusione sociale, oggetto di competenza concorrente Ue-Stati membri, anche l’Italia, chiamati a garantire il diritto all’assistenza abitativa.

Ho già segnalato come l’Italia non applichi l’articolo 11 del Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali che cita il diritto alla casa, oltre che diversi articoli della Convenzione sui diritti dei minori e dell’adolescenza, tra i quali anche il diritto all’alloggio. Ora segnalo come, in materia di diritto all’abitare, l’Italia non attui neanche la Carta sociale europea e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Ripeto la domanda: perché abbiamo ratificato questi impegni internazionali? Se non intendiamo attuarli o non li riteniamo vincolanti, perché l’Italia non ritira l’adesione?

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