Mentre la città meridionale di Khan Younis è stretta nella morsa dei bombardamenti, migliaia di sfollati fuggiti dal nord della Striscia di Gaza nelle scorse settimane si sono messi di nuovo in viaggio. Alcuni a piedi, altri con i carretti trainati da asini e poche cose. I più fortunati con un’auto. L’esercito israeliano infatti ha ordinato alla popolazione di evacuare nell’area di Mawasi, una città beduina del sud, designata da Tel Aviv come safe zone. “Le strade erano piene di persone in fuga. Avevamo paura. Tutto intorno a noi c’erano le bombe, ma siamo riusciti ad arrivare sani e salvi” racconta in un audio un operatore Oxfam. È la terza volta dall’inizio della guerra che è obbligato a scappare per cercare di mettere in salvo la sua famiglia. Da tre giorni lavora per montare tende e servizi igienici improvvisati per oltre 100 persone. “Ora abbiamo cibo per due giorni, poi non so come faremo. Anche trovare un po’ di pane e un po’ d’acqua è una sfida. Non so se questa è una zona sicura. Dopo 60 giorni di guerra non vediamo una luce in fondo al tunnel, una speranza di salvezza”.

Il racconto fa parte di una serie di testimonianze giornaliere degli operatori e dei manager di Oxfam a Gaza che ilfattoquotidiano.it ha deciso di pubblicare. L’obiettivo è avere giorno per giorno un racconto in prima persona da parte dei civili a Gaza, coloro che in questo momento stanno pagando il prezzo più alto del conflitto.

LA PETIZIONE – Nessuna risposta umanitaria significativa potrà esserci senza un immediato cessate il fuoco. Per questo Oxfam ha lanciato un appello urgente al governo italiano e ai leader europei a cui si può aderire su: https://www.oxfamitalia.org/petizione-gaza/

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A due mesi dall’attacco di Hamas e con Gaza sotto le bombe, familiari degli ostaggi e civili palestinesi fanno lo stesso appello: “Tregua”

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