Trecentosessantamila persone rischiano di morire prematuramente entro la fine del secolo a causa del riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra di nove grandi compagnie europee dell’oil&gas: Shell, TotalEnergies, BP, Equinor, Eni, Repsol, OMV, Orlen e Wintershall Dea, tutte società che operano a livello internazionale e che nella maggior parte dei casi coprono l’intera filiera, dalla produzione di petrolio e gas alle reti di stazioni di servizio. Trecentosessantamila persone se si considerano le sole emissioni del 2022. Più dell’intera popolazione della città di Firenze.

Questa stima è stata raccontata al vertice sul clima delle Nazioni Unite, la Cop28 di Dubai da Greenpeace Paesi Bassi, accompagnata da due approfondimenti dal titolo – decisamente privo di mezzi termini – “Le emissioni di oggi, le morti di domani: come le principali compagnie europee di petrolio e gas stanno mettendo a rischio vite umane” e dalla raccolta di pareri di esperti in legge “Omicidio climatico: le aziende fossili scamperanno all’accusa?”.

La stima è stata presentata mentre in Italia Greenpeace portava avanti un’azione di protesta nel quartier generale di Eni: alcuni attivisti hanno scalato entrambi i lati del palazzo di Eni e aperto due enormi banner con la scritta “Today’s emissions = tomorrow’s deaths”, mentre sulle facciate della sede dell’azienda sono stati proiettati diversi messaggi, tra cui “I combustibili fossili uccidono” e “Giustizia climatica ora”. In contemporanea, altri attivisti hanno collocato nella zona della sede di Eni un’installazione di 8 metri di lunghezza con il messaggio “ENI’s legacy = climate deaths”.

Secondo il calcolo contenuto nel rapporto, in cima alla graduatoria per quantità di emissioni (il calcolo è basato sulle autodichiarazioni delle società stesse) ci sarebbe Shell con 960 milioni di tonnellate di Co2 emesse nel 2022, seguita da TotalEnergies (437Mt CO2 e), British Petroleum (342), Equinor(256) e quindi Eni (204).

Le sole morti stimate imputabili a Eni sarebbero quindi pari a 27 mila entro il 2100 (130mila quelle di Shell), cifra ottenuta attraverso un modello statistico accettato dalla comunità scientifica, il cosiddetto “Mortality Cost of Carbon”, sviluppato dal ricercatore statunitense R. Daniel Bressler, che utilizza un modello climatico semplificato e una funzione di danni da mortalità, per collegare l’innalzamento della temperatura media della Terra alle future morti premature.

Per lo studio viene utilizzato lo scenario “optimal emissions” DICE-EMR simile a quello 2.6(RCP 2.6) dell’IPCC che preconizza a un riscaldamento di 2,4°C entro il 2100. “È oltretutto una stima ‘conservativa’ – si legge nel rapporto – poiché prende in considerazione solo le morti in eccesso correlate alle variazioni di temperatura, ovvero quelle causate direttamente da calore estremo e freddo intenso escludendo quindi quelle causate da altri impatti futuri derivanti dalla crisi climatica come gli eventi meteorologici estremi, le malattie infettive, l’inquinamento atmosferico”.

Greenpeace ricorda che durante il suo Capital Market Day, Eni ha dichiarato che entro il 2030 prevede di incrementare la produzione di gas fossile, portando la sua quota al 60% del totale delle attività aziendali. “Rispetto alle proiezioni del 2022 – spiegano – , si prevede un aumento di un punto percentuale nella produzione ed estrazione annuale, passando dal 3% al 4% e raggiungendo un picco nel periodo compreso tra il 2026 e il 2030”. L’azienda ha l’obiettivo di raddoppiare i contratti di acquisto di Gas Naturale Liquefatto (GNL), passando da 9 mega tonnellate annue nel 2022 a 18 entro il 2026. “La strategia di Eni, quindi, non permetterà il rispetto dell’accordo di Parigi, tutt’altro. È in procinto di approvare nuovi progetti di estrazione di petrolio e gas per giacimenti contenenti 1,4 miliardi di barili di petrolio equivalente (BOE)”

Non è certo la prima accusa rivolta al Cane a sei zampe, da tempo ormai osservato speciale degli attivisti. Lo scorso 9 maggio Greenpeace Italia, ReCommon e dodici cittadini italiani hanno presentato una causa civile nei confronti di Eni e contro i suoi azionisti: il ministero dell’Economia e delle Finanze e contro Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. Secondo l’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM), nell’ultimo mezzo secolo gli eventi climatici estremi hanno provocato la morte di 2 milioni di persone e danni economici per 4 mila e 300 miliardi di dollari.

“Le industrie fossili hanno enormi responsabilità per i danni causati a Pianeta e persone dalle loro attività, è arrivato il momento che paghino per i loro crimini climatici – spiega Simona Abbate, della campagna clima di Greenpeace Italia -. Continuare a emettere gas serra, come hanno in programma di fare queste grandi compagnie, metterà ancora più a repentaglio la vita di tutti noi. E la multinazionale italiana Eni è tra le principali colpevoli di questa situazione. Ci chiediamo con preoccupazione quando Eni comincerà a mettere la vita delle persone e la salvaguardia del Pianeta al di sopra del proprio profitto”.

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