Petro Poroshenko non parteciperà al vertice di Washington dell’IDU, l’organizzazione che raccoglie i partiti di centrodestra occidentali, dove avrebbe incrociato i leader di Giappone e Regno Unito, per poi incontrare membri di entrambi i partiti del Congresso degli Stati Uniti. Tutte occasioni per discutere del rafforzamento dell’assistenza finanziaria e militare americana all’Ucraina. Questa lista di incontri non si svolgerà mai perché l’ex presidente non è andato oltre la dogana tra Ucraina e Ungheria. Quando gli è stato rifiutato il visto di uscita dal Paese per un “viaggio di affari”, la maggior parte degli osservatori ha veduto in quel diniego la lunga mano del presidente Volodymir Zelensky e il diniego a incontrare il primo ministro ungherese Viktor Orban, il cui partito tra l’altro fa parte di IDU. Eppure, il colpo non è partito dal leader ma dallo SBU, i Servizi di sicurezza posti sotto la presidenza ucraina, vale a dire le barbe finte in giacca e cravatta, da non confondere col GRU, facente capo al ministero della Difesa e diretto dall’ormai famoso tenente generale Kyrilo Budanov.

Poroshenko, il magnifico bersaglio – Quello che ha coinvolto l’ex leader non è un semplice problema amministrativo alla dogana. A quanto pare, aveva la “giustifica” per fare un viaggio d’affari: l’autorizzazione era stata ufficialmente firmata dal presidente del Parlamento ucraino in persona. Poi, secondo il vicepresidente dell’assemblea Oleksandr Kornienko, il permesso era stato annullato dopo aver ricevuto un ordine tassativo dallo SBU. Zelensky avrebbe potuto bloccare Poroshenko per il tramite del presidente del Parlamento, Ruslan Stefanchuk, oltretutto membro del Consiglio per la sicurezza e la difesa nazionale dell’Ucraina, ma a muoversi è stato il capo dell’intelligence di Kiev, che è rimasto sempre nell’ombra ma ha finito per dare alla cosa un impatto anche maggiore. In pratica, colpendone uno – il “cinghialone” avrebbero detto alcuni giornalisti italiani degli anni Novanta – hanno provato a educarne a centinaia: insomma, niente “rompete le righe” ai politici geopolitici.

Comanda chi ti dice che cosa pensare – Soprattutto, l’intervento di Malyuk ha messo in evidenza quanto sia strategicamente importante per i leader, sia in Ucraina sia in Russia, il controllo della narrazione sulla guerra e sui suoi sviluppi. Siamo davanti a due leader, Zelensky e Putin, che hanno puntato tutto su due cavalli perdenti: Zelensky sulla controffensiva estiva trionfale (mentre i militari avrebbe preferito un basso profilo), Putin sulla “vittoria in tre giorni” (mentre molti consiglieri erano contrari). Così, al momento in cui Zaluzhny, il comandante delle forze ucraine, ha parlato di “stallo” e di “guerra di logoramento”, pur essendo un eroe per l’opinione pubblica per i funzionari del presidente è diventato uno che favorisce la Russia. Stessa cosa vale per Poroshenko, anche se per bocca del più potente e autorevole SBU. Mutatis mutandis, l’osannato eroe russo della guerra in Donbass, Igor Girkin, una volta che ha preso posizione contro Putin, “un malvivente che è riuscito a soffiare polvere negli occhi della popolazione, vile mediocrità al potere”, è finito direttamente dietro le sbarre.

Il sindaco “rompe le righe” lo stesso – L’Ucraina non è la Russia: ha avuto due rivoluzioni nel giro di dieci anni e nessuno si sente di escluderne una terza, casomai un uomo solo volesse restare al comando. E il caso della Russia del febbraio 1917 insegna che, anche se cambia il comandante, la guerra può andare avanti a lungo. Non a caso è arrivata a intasare questo circuito politico-mediatico un’intervista al sindaco di Kiev, l’ex campione di box Vitalij Klyčko, che ha chiesto al presidente quello che la gente si domanda: perché l’Ucraina non era meglio preparata per questa guerra e perché Zelensky ha negato fino alla fine che ci sarebbe stata un’aggressione russa? Il politico è entrato così in tackle nelle tensioni in corso, come dicono a Kiev, tra lo ZE(lensky) e lo ZA(luzhny), con lo ZE impegnato a dare direttive ai generali e a dirigere operazioni militari scavalcando il suo generale, e lo ZA che non ha negato durante la visita del segretario alla Difesa Usa, Lloyd Austin, di essere tenuto all’oscuro dal suo leader politico e dai suoi ufficiali sottoposti di molte decisioni. Klyčko sa che se vuole avere chance di avere un ruolo di primo piano nella politica ucraina nel 2024, anno in cui si dovrebbero tenere le elezioni presidenziali, in primavera, deve indebolire lo ZE prima che lo ZA abbia il tempo di scendere in campo, perché poi farebbe da asso pigliatutto.

Poroshenko nel sacco – Alle spalle delle tensioni ZE-ZA, si è collocato lo stesso Poroshenko, che al momento ha le stesse chance di tornare al vertice del Paese che ha Matteo Renzi di riprendere quasi il 40% dei voti alle prossime elezioni europee, ma – come il politico di Rignano – ha una rete di relazioni internazionali che vuol tessere. Uno tra questi contatti è lo stesso Viktor Orban che avrebbe dovuto incontrare nella prima tappa del suo tour all’estero: tuttavia, stupisce come un vecchio arnese della politica si sia fatto fregare da Zelensky. O forse non proprio da lui? A ben vedere, la mossa è partita direttamente da uno dei personaggi più potenti del Paese. Per tutta una serie di vicende, è difficile parlare di Vasyl Malyuk come di un “uomo del presidente”, soprattutto con riferimento allo scontro tra lo ZE e lo ZA: piuttosto, è uno dei “duri” della guerra alla Russia, uno che non si può definire un fautore dell’appeasement con Mosca, dato che – lo dice lui stesso – comincia ogni giornata con l’obiettivo di dare la caccia a obiettivi e collaborazionisti russi.

La caduta e la rivincita del generale – All’inizio del 2020, come prova dell’impegno del neoeletto Zelensky contro traditori e approfittatori in seno alla pubblica amministrazione, il generale Vasyl Malyuk fu nominato vicedirettore dello SBU con la missione di combattere la corruzione e il crimine organizzato. In seguito, divenuto scomodo, fu abbandonato dallo stesso Zelensky e tolto di mezzo con la scusa di non aver apportato “nuove soluzioni gestionali” nella lotta al contrabbando. Fu “dimissionato”, disse il consigliere presidenziale Mikhailo Podolyak, perché “sono necessarie maggiore mobilità e rapidità nei processi decisionali”. Carriera finita col marchio d’infamia di inefficienza? Nemmeno per sogno: dopo una breve parentesi – pochi giorni, nemmeno il tempo di vedere centinaia di carri armati russi farsi strada verso Kiev – come vice al Ministero degli Interni, eccolo tornare a marzo del 2022 allo SBU come numero due, perché i Servizi non potevano fare a meno di lui.

Duro con tutti, anche prima di oggi – Tra marzo e luglio 2022 si trovò tra le mani un’agenzia di intelligence imbottita di spioni russi nel pieno di una guerra lanciata da Mosca e con una controffensiva – tessuta dal generalissimo Zaluzhny e con Zelensky allora in secondo piano – in piena preparazione. Il suo approccio da allora è stato nel senso di una continua autopulizia. “Possiamo condurre molte operazioni di grande successo, pianificarle, ma se abbiamo a bordo una talpa che informa il nemico in tempo, l’intero piano operativo è annullato e tutto il personale è in pericolo”, disse.

Se incontri Orban, sei amico di Putin – È lui che stoppa Petro Poroshenko: “Il previsto incontro con il primo ministro Viktor Orban, che esprime sistematicamente una posizione anti-ucraina, è un ‘amico di Putin’ e chiede la revoca delle sanzioni contro la Federazione Russa” avrebbe potuto aiutare una campagna di disinformazione “su larga scala” volta a “portare a un cambiamento di umore nei Paesi partner della coalizione anti-russa”. Soprattutto, l’incontro avrebbe incoraggiato “i rappresentanti della comunità politica ucraina a dichiarare le proprie narrazioni sulla necessità di un processo negoziale con la Federazione Russa in condizioni di congelamento della guerra”. La chiave di lettura della crisi arriva dallo stesso comunicato dello SBU: “Vi ricordiamo che il governo è il solo responsabile della politica statale nel campo delle relazioni estere dell’Ucraina” e qualunque altro canale serve solo a “ridurre il sostegno dei partner stranieri e cercare di dividere la società ucraina dall’interno”.

Gole profonde dell’amministrazione ucraina riferiscono che il viaggio di Poroshenko sarebbe coinciso con le visite di diversi gruppi di altri politici e funzionari ucraini negli Stati Uniti per fare pressione a favore degli interessi ucraini. Ma risulta che solo lui sia stato fermato. A Washington rimangono una serie di lobbisti indispettiti e di politici perplessi per degli appuntamenti importanti a cui l’Ucraina non ha mandato il principale esponente dell’opposizione.

david.rossi.italy@proton.me

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