“Proprio come durante la Prima guerra mondiale, abbiamo raggiunto un livello tecnologico che ci mette in una situazione di stallo. Siamo a un punto morto”: Ucraina e Russia sanno vedere e fare lo stesso senza possibilità di “alcuna svolta profonda”. In definitiva, l’esercito ucraino, equipaggiato con la tecnologia occidentale, si ritrova impantanato nei campi minati e deve fronteggiare l’artiglieria e gli attacchi dei droni esattamente come succede ai combattenti del Cremlino. A dirlo non è un militare a caso, ma il comandante in capo delle forze armate ucraine, Valerii Zaluzhnyi, che disegna una situazione di impantanamento della guerra che non permette ulteriori importanti conquiste da parte di Kiev. Parole che hanno provocato la reazione dura del presidente Zelensky, andando a creare una crepa ben evidente tra le posizioni dei militari e quelle del governo di Kiev.

Per esempio, le truppe di entrambi i Paesi spesso non sono in grado di raccogliersi e attaccare in massa perché il coordinamento tra fanteria, carri armati e artiglieria è reso difficile dal jamming, cioè il disturbo delle comunicazioni radio. L’unica differenza sta nel valore attribuito alla vita umana dai vertici russi: Putin – come già lo zar e Stalin – può permettersi perdite quotidiane di migliaia di uomini senza che ci sia un’opinione pubblica a cui rispondere. Insomma, per far spendere a Kiev una fortuna in preziose munizioni Mosca consuma esseri umani come se valessero poco o nulla. Esprimendo questi concetti a The Economist, Zaluzhnyi ha anche fatto un mea culpa: “Pensare che la Russia potesse essere scoraggiata infliggendo perdite alle sue truppe è stato un mio errore”.

La Russia in venti mesi di guerra ha subito perdite dieci volte più grandi dell’Unione Sovietica in Afghanistan e ha continuato a spedire truppe a combattere come se niente fosse. Certo, cadere prigionieri degli ucraini non è lo stesso che finire nelle grinfie dei mujaheddin, ma questo è un altro discorso.

La guerra di logoramento
Il generale ha, soprattutto, sottolineato che la guerra è diventata posizionale e che per una svolta devono essere compiuti cinque passi che lui ha elencato e spiegato in dettaglio perché i leader occidentali potessero prendere nota al fine di aiutare l’Ucraina oltre che per rivedere le loro dottrine: acquisire superiorità aerea sul nemico, migliorare le possibilità di sfondare i campi minati, rafforzare la controbatteria, garantire l’addestramento efficace delle riserve e aumentare l’efficacia della guerra radio-elettronica. Ma il punto centrale di tutta l’intervista è l’ammissione dello stallo.

L’ira di Zelensky
Qualcuno negli uffici del presidente ucraino non ha preso bene tali dichiarazioni e ha deciso che si doveva rispondere per le rime a quello che è il più alto in grado tra i militari del Paese, ma anche l’uomo che ha recuperato la metà dei territori conquistati dai russi. Il compito è toccato a Ihor Zhovkva, che ha il rango di ambasciatore straordinario e plenipotenziario, il grado diplomatico più alto in Ucraina, ma non ha mai lasciato Kiev in più di vent’anni di carriera, arrivando a ricoprire l’incarico di vicecapo dell’ufficio del presidente ucraino sotto Volodymir Zelensky. Non ha certamente usato diplomazia commentando in diretta tv, durante il più seguito telegiornale del Paese, l’ormai famosa intervista a The Economist. Ha colpito subito duro: “Se fossi un militare, probabilmente l’ultima cosa che farei è commentare alla stampa e al pubblico ciò che sta accadendo al fronte, ciò che potrebbe accadere al fronte e le possibili opzioni perché così semplifichiamo il lavoro dell’aggressore”.

Non è stato solo duro, ha anche accusato Zaluzhnyi di aver commesso qualcosa ai limiti del tradimento e dell’intelligenza col nemico: “Penso che tutto è stato letto con molta attenzione e annotato” dalle parti del Cremlino “e che sono state tratte le conclusioni”. Poi, per evitare una crisi istituzionale, ha dato credito alla buona fede del generalissimo: “Se riusciamo a raggiungere il successo in questo modo, allora forse si tratta di un piano strategico molto profondo. Ma mi sembra molto strano”. Zhovkva, infine, si è chiesto se diffondere il panico tra gli alleati fosse l’effetto che il generale stava cercando di ottenere con questo articolo. Commenti meno taglienti hanno preceduto la rimozione di funzionari e ministri ucraini, ma in questo caso si tratta di poco più di un buffetto: Zaluzhnyi è quasi inamovibile anche per la sua credibilità presso politici e militari alleati.

Le reazioni internazionali
A ben guardare l’intervista ha avuto una vastissima risonanza, ben al di là della stessa Kiev, come mai era successo prima nei rari incontri del capo stratega ucraino con i media. Hanno risposto un po’ tutti, a partire dal presidente russo Vladimir Putin che si è affidato al suo addetto stampa Dmitry Peskov per negare che le due forze siano in una fase di stallo e di guerra di logoramento e per affermare che la Russia sta portando avanti la sua operazione militare speciale – come il Cremlino chiama la guerra di aggressione all’Ucraina – con l’obiettivo di raggiungere tutti gli obiettivi prefissati. Non sono rimasti muti neppure oltreoceano, da dove il coordinatore del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, ha sottolineato che gli Stati Uniti sono consci dell’importanza di continuare a fornire assistenza alla difesa all’Ucraina, così facendo eco alle parole del generale Zaluzhnyi. Il funzionario statunitense ha detto che è cosa normale che nel corso della guerra cambino le esigenze delle parti, compresi i sistemi d’arma e i partner più utili per la vittoria. Washington ha aggiunto che la politica degli aiuti militari degli Stati Uniti all’Ucraina si è sempre evoluta adattandosi al modo in cui si è sviluppata la guerra stessa.

I leader ucraini in conflitto
Lo scontro tra il generale ucraino e il suo presidente non riguarda solo i rapporti con i media, le richieste di forniture agli alleati e la conduzione delle operazioni militari, ma anche e soprattutto la politica interna. Chiedendo di fare un upgrade della capacità di addestrare riserve, di svolgere il training dei riservisti direttamente vicino alla linea del fronte, di poter fare più turnover per dare riposo ai soldati oggi schierati troppo a lungo al fronte, di creare centri di addestramento al sicuro dagli attacchi russi, Zaluzhnyi entra con gli stivali nella politica ucraina. Lo fa ancora di più -irritando Zelensky – quando solleva la questione più politica di tutte: le lacune legali e amministrative che consentono ai cittadini ucraini di sottrarsi alle proprie responsabilità. Basti dire che dal febbraio 2022 si è assistito a un aumento esponenziale degli studenti universitari: lo studio è una scappatoia dal servizio militare. Ma anche starsene ad abitare in casa da amici senza avere una residenza registrata impedisce il richiamo: in fondo, nemmeno sanno dove trovarti e se sei ancora nel Paese. Insomma, da una parte c’è il leader militare che vuole un registro unificato di chi ha fatto la leva e l’ampliamento delle categorie dei cittadini che possono essere mobilitati, dall’altra il leader politico preoccupato per le conseguenze sociali ed economiche, oltre che dell’impatto sul consenso dell’opinione pubblica per il governo.

L’eco di Meloni
Non a caso le parole del poco diplomatico Zaluzhnyi suonano molto come quelle della presidente del consiglio Giorgia Meloni nel colloquio rubato dai due comici russi: la stanchezza c’è, è presente in tutte le parti in lotta e anche nei loro alleati. La differenza sta nel fatto che il generale crede che ci siano ancora carte importanti da giocare per liberare ancora più territorio ucraino: “Soluzioni nuove e innovative possono trasformare questa guerra di posizione in una guerra di manovra”. Su una cosa Zelensky e Zaluzhnyi sono d’accordo: prima o poi, inevitabilmente, le due parti dovranno negoziare probabilmente un cessate il fuoco di lunghissima durata. Tuttavia, sia il politico sia il militare ritengono che ci si debba impegnare a combattere ancora nel medio periodo perché – a differenza di quanto sostenuto da Meloni – il problema non sta nel trovare una via d’uscita che possa essere accettabile per Mosca e Kiev “senza distruggere il diritto internazionale”. I due Paesi, insomma, combatteranno finché la bilancia non penderà in modo visibile a favore di una delle due parti e l’altra sarà obbligata a rassegnarsi per evitare una catastrofe ben peggiore: il fatto è che lo status quo presente non piace proprio a nessuna delle due.

david.rossi.italy@proton.me

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