“Il rapporto tra specializzandi e mondo dell’Università è patologico. I professori li tengono come servi, sono sovrani incontrastati. Per risparmiare sul personale strutturato, costringono gli specializzandi a orari assurdi: abbiamo registrato una timbratura da 307 ore mensili”. A parlare è Massimo Minerva, presidente dell’Associazione Liberi Specializzandi che difende gli interessi della categoria dei medici in formazione. Sulla loro pagina Facebook si susseguono gli appelli ai giovani camici bianchi: contattateci, raccontate le condizioni di lavoro e i soprusi vissuti nelle Scuole. Nei luoghi deputati alla formazione gli specializzandi – coloro che in futuro dovrebbero colmare i buchi di organico di un Servizio sanitario sempre più in difficoltà – diventano dei tuttofare. Svolgono funzioni di segreteria al mattino, prendendo appuntamenti o gestendo l’organizzazione burocratica, e fanno i portantini al pomeriggio. Vengono criticati se chiedono giorni liberi per malattia e sono spesso costretti a saltare il pasto o ad arrangiarsi agli orari più improbabili. Senza il diritto agli straordinari. Giovani medici che arrivano al burnout poco dopo aver iniziato il loro percorso professionale, con la percezione di essere considerati una forza lavoro gratuita per l’Università.

Paola (nome di fantasia) è una specializzanda in Chirurgia. Dovrebbe essere al secondo anno ma l’anno scorso ha rinunciato alla sua borsa di studio. Non riusciva più a sopportare la tossicità della Scuola di Milano nella quale era entrata (non vuole fare il nome per paura di ritorsioni) e ha deciso di affrontare nuovamente lo stress del test per ripartire da zero. La sua seconda esperienza è migliore della precedente: “Ora vengo rispettata di più in quanto medico – dice a ilfattoquotidiano.it -. Faccio ancora 12 o 13 ore al giorno, ma la situazione è migliorata. D’altronde questa è la realtà per tutti all’interno del Sistema sanitario nazionale. Gli strutturati si trovano a fare quattro o cinque notti di fila, perché non c’è abbastanza personale. Il baronaggio non finisce neanche quando si inizia la professione, ci si resta invischiati anche dopo aver finito tutto il percorso di specializzazione”. Non è una situazione straordinaria, assicura, non deve “essere successo qualcosa”. È il sistema che sta in piedi così.

In ogni caso, nella nuova scuola Paola è più soddisfatta. “Dove ero prima, i chirurghi in formazione che fanno il turno di notte non hanno diritto al riposo previsto prima e dopo una notte lavorativa – racconta -. Si parla di 32 ore di lavoro consecutive”. Con questi orari è impossibile integrare la borsa di studio con degli incarichi libero professionali extra, come per esempio le otto ore nei pronto soccorso previste dal decreto bollette. “Avevo fatto il conto – prosegue Paola -, con la borsa di studio la mia paga oraria era di 3,80 euro. Siamo una forza lavoro gratuita, lo “schiavizzando””. Nella Scuola da cui è scappata le cose furono messe in chiaro fin da subito: “Il primo giorno tornai a casa alle 23 e i miei colleghi specializzandi mi dissero che lì funzionava così. Che sennò mi facevano il culo e che altrimenti non sarei durata”. E infatti dopo qualche mese ha rinunciato alla borsa. “Sì, ma prima ho dovuto subire l’ultimo sopruso”, racconta. “Mi arrivò una comunicazione, con un solo mese di preavviso, in cui mi veniva detto che mi sarei dovuta trasferire a oltre mille chilometri di distanza per prendere servizio in un altro ospedale della rete formativa della mia Scuola. Feci presente che non era possibile per me, ma non cambiò nulla. Alla fine ho dovuto rinunciare alla borsa per non incorrere nella mancata presa di servizio”.

Paola racconta di come tutti i giorni si trovasse a dover svolgere mansioni da medico strutturato, senza alcuna supervisione. Firmare lettere di dimissioni con le credenziali dello strutturato è la prassi, dice. E lo conferma anche Angela (anche lei ha scelto di proteggere la sua carriera utilizzando un nome di fantasia). Anche nella sua Scuola di chirurgia, a Milano, tutta la gestione pratica e burocratica è in mano agli specializzandi. “Un ambulatorio specifico in un pomeriggio della settimana viene coperto interamente da noi medici in formazione. Lavoriamo con le credenziali di uno strutturato che non è presente nella stanza – spiega Angela -. Non credo che questo sia un processo pedagogicamente corretto. Ma le mie lamentele non hanno cambiato nulla, anzi. Sono diventata presto la rompiscatole del corso. Ho iniziato a operare meno e mi sono ritrovata sempre più spesso incastrata nelle situazioni più scomode”. Come Paola, anche Angela è stata costretta a ricoprire molte mansioni non mediche: “Ogni strutturato ha il suo animale sacrificale. Gli dà il contentino di portarlo più spesso in sala operatoria in cambio di lavori burocratici”.

Racconta di aver attraversato un periodo molto pesante. Di aver provato a chiedere il trasferimento, ma di aver ricevuto una risposta negativa dal direttore della Scuola: “No, perché perdo un’unità”. Sia Paola che Angela si sono rivolte ad Als. Hanno documentato ciò che hanno vissuto e ciò a cui hanno assistito, nel tentativo di contribuire alla riforma del sistema. “L’Università si chiude a riccio per difendere queste situazioni. È uno stato estero, ha leggi sue”, dichiara Minerva di Als, commentando alcune delle segnalazioni che ha ricevuto negli anni. C’è chi lamenta l’assenza totale di lezioni frontali, previste per legge nel percorso formativo dei medici. Chi racconta di aver visto colleghi chiusi a piangere negli spogliatoi, dopo essere stati insultati. “Addirittura c’era una Scuola in cui si facevano fare le flessioni – prosegue Minerva -. “Alcuni professori sono talmente convinti di essere al di sopra di tutto che mettono per iscritto questi soprusi, credendo di poter rimanere impuniti, come è avvenuto alla Vanvitelli”.

Nelle ultime settimane l’Ateneo napoletano è stato al centro di molte segnalazioni. I due direttori delle Scuole di geriatria e di chirurgia plastica si sono autosospesi dopo che Als ha diffuso alcuni scambi su Whatsapp avvenuti con i giovani medici in merito ai questionari di valutazione delle attività didattiche. Si tratta di un’iniziativa ministeriale per verificare la qualità dei corsi: gli specializzandi, in modo anonimo, danno voti alla didattica, alla formazione e all’organizzazione. Il prestigio delle Scuole, e dei loro direttori, dipende da queste valutazioni. Nei messaggi pubblicati sulla pagina Facebook della Als, i due universitari intimano ai giovani medici di stare attenti alle loro risposte, suggerendo che per i professori sia possibile aggirare l’anonimato e riconoscere chi dovesse metterli in cattiva luce. Una minaccia in piena regola secondo gli specializzandi che hanno denunciato il caso. Così come hanno fatto anche i colleghi della Scuola di radiodiagnostica della Vanvitelli, accusando il direttore di affidare loro mansioni da personale amministrativo. Inseriti nella regolare turnazione dell’accettazione, i futuri specialisti erano costretti a sbrigare pratiche burocratiche e a prendere appuntamenti. “Per mettere fine a queste illegalità è fondamentale che gli specializzandi alzino la testa, che segnalino le irregolarità”, commenta Minerva. E conclude: “Le tossicità si nascondono dietro i nomi altisonanti della Scuole. È una patologia diffusa, succede in tutta Italia”.

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