Taranto e Italia Viva. Rinaldo Melucci e Matteo Renzi. Da c’eravamo tanto odiati a vissero felici e (per ora) contenti. Il legame tra la città pugliese che ospita, suo malgrado, l’Ilva e l’ex presidente del Consiglio è all’ennesima nuova inversione di rotta. Ma il passaggio da contestatissimo premier pro-siderurgico a principale alleato del sindaco anti-Ilva, non è stato veloce e lineare. L’ultimo capitolo di questa lunga storia è l’ingresso in Consiglio comunale di Filippo Illiano, il cui intervento di esordio nell’assise cittadina ha fatto presto a diventare uno dei video virali sui social. Ma prima di arrivare ad oggi, occorre fare un piccolo passo indietro.

Le cause del difficile rapporto tra la città di Taranto e Matteo Renzi sono ben espresse nel post su Facebook del novembre del 2019 che, l’ex presidente del Consiglio, pubblicò all’indomani della decisione degli indiani di Mittal di lasciare la proprietà dell’industria: “Per tenere aperta Ilva – scrisse – ho firmato dodici decreti, raccolto insulti dei miei ex compagni di partito che mi hanno accusato di essere l’omicida dei bambini di Taranto, perso voti e ricevuto minacce di ogni genere. L’ho fatto e lo rifarei perché se Ilva chiude, chiude l’intera industria del Mezzogiorno”. Renzi, dunque, già da presidente del Consiglio, dice chiaramente di non essersi “mai rassegnato alla chiusura dell’Ilva”.

Il punto, però, è che nella direzione ostinatamente contraria è sempre andato proprio il sindaco della città, Rinaldo Melucci. Nel corso dei due mandati, infatti, il primo cittadino ha due volte firmato ordinanze – una revocata dal Consiglio di Stato, l’altra ancora pendente al Tar di Lecce – per bloccare l’attività dell’area a caldo, principale responsabile delle emissioni di benzene. Area confiscata, lo ricordiamo, anche dalla Corte di Assise di Taranto con la storica sentenza del maxi processo Ambiente Svenduto che condannò l’allora proprietà dell’industria, i Riva, per disastro ambientale. “Ci ho provato ma non ci sono riuscito”, disse Melucci, qualche tempo dopo, rispondendo alla lettera di Andrea, 8 anni, uno dei tanti bambini dell’associazione “Genitori tarantini”, vittime più o meno gravi dell’inquinamento, che gli chiedeva di chiudere la fabbrica. “Se restiamo insieme continueremo a chiedere la chiusura dell’area a caldo – scrisse – è una promessa e questa battaglia è anche per te e tutti i bimbi di Taranto”.

Posizioni, dunque, piuttosto contrastanti e che la città non ha mai dimenticato. Tant’è che nel 2014 prima, nel 2016 poi, l’allora presidente del Consiglio all’arrivo in città, fu accolto da cortei, cori e contestazioni da parte di cittadini, operai e ambientalisti. Un rapporto contrastato fuori ma anche dentro il palazzo. Tant’è che nel novembre del 2021 tra i 17 consiglieri comunali che firmarono, dinnanzi al notaio, il disarcionamento del sindaco, portando alla caduta dell’amministrazione e, dunque, al commissariamento, in due oggi siedono tra i banchi di Italia Viva. “Le questioni politiche di Taranto vanno tenute distinte dalle dinamiche, per fortuna ben collaudate, del Consiglio regionale”, disse al tempo Massimiliano Stellato, tra i firmatari della sfiducia, attuale segretario regionale del partito di Renzi. Precisazione che apparve doverosa visto che mentre firmava la caduta dell’amministrazione, sedeva tranquillamente tra i banchi della maggioranza di Michele Emiliano alla Regione. Insomma, di lotta e di governo.

Ma le strade della politica, spesso, sono imprevedibili e infinite. Tant’è che oggi, Stellato ha invertito la rotta. Nel Melucci bis, da segretario regionale, con i suoi cinque consiglieri comunali, è il principale partito della coalizione. Ma è passato all’opposizione di Michele Emiliano in Consiglio regionale. E a tessere la tela del ritrovato rapporto tra Renzi e il sindaco, è stato proprio Stellato che ha permesso un incontro tra i due. Al punto che, lo stesso Melucci, abbandonato il Pd, dal definire Stellato “traditore e nemico dei tarantini”, lo ha riaccolto in maggioranza difendendolo a spada tratta.

Non è tutto, però. A parte le dichiarazioni e i cambi di rotta di Stellato, anche gli altri componenti del gruppo di Italia Viva al Comune di Taranto, qualche grattacapo a Matteo Renzi non lo hanno risparmiato. Carmen Casula, ad esempio, è imputata nel processo di primo grado con l’accusa di truffa ai danni del Comune per aver simulato rapporti di lavoro o gonfiato gli stipendi. E non è stato meno roboante l’ultimo acquisto del gruppo consiliare di Italia Viva: Filippo Illiano, detto “Furore”. Eletto nel 2012 con il centrosinistra, ci riprovò nel 2017 con il centrodestra contro Melucci, sino all’anno prima non risparmiava commenti su Matteo Renzi tutt’altro che generosi: “Un bel fa…lo a Renzi a prima mattina perché smantella anche la motorizzazione a Taranto”, scriveva su Facebook.

Qualche giorno fa, invece, subentrato in Consiglio comunale come primo dei non eletti, ha ufficializzato la sua adesione al partito di Matteo Renzi. Il suo primo intervento, come detto, è divenuto in pochi minuti virale: “Sono 10 anni che mi martellano per non so che c…o di cosa”, sbotta. “Non sono mai stato interrogato da un pm, da un carabiniere o da un finanziere”.

Illiano rispondeva alla contestazione del collega Luigi Abbate, che chiedeva di verificare eventuali questioni di ineleggibilità. Questo perché Illiano è comparso in due inchieste. Una della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, “Tabula rasa”, con l’accusa di avere ottenuto sostegno elettorale da un clan mafioso tarantino, nella precedente elezione. Posizione poi archiviata. Nell’altra, invece, fu accusato, dalla procura di Taranto, di truffa ai danni del Comune perché, come la collega Casula, avrebbe fatto “risultare fittiziamente l’instaurazione di un rapporto di lavoro dipendente per un ammontare complessivo di 75.573 euro”. Ed è vero che Illiano non è mai stato interrogato da un pm. Ma perché il processo andò prescritto e nessuno, lui compreso, rinunciò alla prescrizione. Una armata variegata, insomma, quella di Renzi a Taranto.

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