I miliardi investiti nelle armi vengano dirottati sulla lotta al cambiamento climatico, si metta fine all’avidità che ha devastato il Pianeta. Papa Francesco non ha potuto partecipare alla Conferenza sul clima di Dubai, ma il suo messaggio, letto dal cardinale Pietro Parolin, arriva potente alle orecchie dei leader mondiali riunitisi nell’emirato. Un messaggio che condanna “l’ambizione di produrre e possedere” che “si è trasformata in ossessione ed è sfociata in un’avidità senza limiti, che ha fatto dell’ambiente l’oggetto di uno sfruttamento sfrenato“. Se non verrà stravolto il modo di vivere e produrre, ha poi aggiunto, a pagare saranno come al solito i più deboli e le nuove generazioni.

Proprio le guerre, l’altro grande flagello col quale il mondo si sta confrontando, rappresentano l’esempio più vivido, secondo il Pontefice, di come i governi mondiali si stiano focalizzando su questioni sbagliate e dannose per il futuro del genere umano, mentre il Pianeta rischia ormai di precipitare in una crisi climatica irreversibile: “Quante energie sta disperdendo l’umanità nelle tante guerre in corso, come in Israele e in Palestina, in Ucraina e in molte regioni del mondo – ha detto il cardinale Parolin leggendo il messaggio del Pontefice – Conflitti che non risolveranno i problemi, ma li aumenteranno. Quante risorse sprecate negli armamenti che distruggono vite e rovinano la casa comune”. Ed è per questo che è tornato a rilanciare una proposta già presentata nei mesi scorsi: “Con il denaro che si impiega nelle armi e in altre spese militari costituiamo un Fondo mondiale per eliminare finalmente la fame e realizzare attività che promuovano lo sviluppo sostenibile dei Paesi più poveri, contrastando il cambiamento climatico”.

La crisi climatica non rischia solo di distruggere il Pianeta, ma proprio per le sue conseguenze può generare “un conflitto tra le generazioni”, con quelle più giovani destinate a pagare per le azioni o inazioni di oggi. “Sono con voi per porre la domanda a cui siamo chiamati a rispondere ora: lavoriamo per una cultura della vita o della morte? – ha aggiunto il Papa – Vi chiedo, in modo accorato: scegliamo la vita, scegliamo il futuro. Ascoltiamo il gemere della terra, prestiamo ascolto al grido dei poveri, tendiamo l’orecchio alle speranze dei giovani e ai sogni dei bambini. Abbiamo una grande responsabilità: garantire che il loro futuro non sia negato. Il clima impazzito suona come un avvertimento a fermare questo delirio di onnipotenza. Torniamo a riconoscere con umiltà e coraggio il nostro limite quale unica via per vivere in pienezza”. Per questo “è compito di questa generazione prestare orecchio ai popoli, ai giovani e ai bambini per porre le fondamenta di un nuovo multilateralismo. Perché non iniziare proprio dalla casa comune?”.

Un percorso tutt’altro che semplice da intraprendere. Bergoglio ne è consapevole e per questo indica anche quali sono le principali cause di questo mancato cambiamento: “Che cosa ostacola questo percorso? Le divisioni che ci sono tra noi. Ma un mondo tutto connesso, come quello odierno, non può essere scollegato in chi lo governa, con i negoziati internazionali che non possono avanzare in maniera significativa a causa delle posizioni dei Paesi che privilegiano i propri interessi nazionali rispetto al bene comune globale”. Secondo il Papa, “assistiamo a posizioni rigide se non inflessibili, che tendono a tutelare i ricavi propri e delle proprie aziende, talvolta giustificandosi in base a quanto fatto da altri in passato, con periodici rimpalli di responsabilità. Ma il compito a cui siamo chiamati oggi non è nei confronti di ieri, ma nei riguardi di domani. Di un domani che, volenti o nolenti, o sarà di tutti o non sarà”.

Guai, infine, ad accusare i poveri e il tasso di natalità tendenzialmente più alto nelle popolazioni più indigenti. I numeri, ricorda il Papa, dicono l’esatto contrario: “Colpiscono, in particolare, i tentativi di scaricare le responsabilità sui tanti poveri e sul numero delle nascite. Sono tabù da sfatare con fermezza. Non è colpa dei poveri, perché la quasi metà del mondo più indigente è responsabile di appena il 10% delle emissioni inquinanti, mentre il divario tra i pochi agiati e i molti disagiati non è mai stato così abissale. Questi sono in realtà le vittime di quanto accade: pensiamo alle popolazioni indigene, alla deforestazione, al dramma della fame, dell’insicurezza idrica e alimentare, ai flussi migratori indotti”.

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