È bello tornare a scuola, perché ci ricorda che non bisogna mai smettere di studiare e imparare, ma anche perché è un’esortazione a restare sempre umili (e l’umiltà è la virtù massima per un magistrato).

Altrettanto eccitante è leggere le pagelle. Nel mio liceo esse erano precedute dalla pubblicazione dei “quadri” con i voti per ogni materia: indimenticabile l’ansia da prestazione che essi erano capaci di generare!

Alle scuole medie, al posto dei voti, vi erano giudizi sintetici (sufficiente, discreto, buono, ottimo). Proprio come quelli che il nuovo Governo sta per introdurre nei confronti dei magistrati. Ci sono, tuttavia, delle controindicazioni per la categoria, segnalate a tempo debito da tanti rappresentanti associativi, oggi stranamente silenti.

Nel caso del giudizio di professionalità non ci sono professori, né ci sono interrogazioni o corsi collettivi. “I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni”: è un precetto della Costituzione: art. 107, comma 3, della Carta fondamentale. A cosa serve, dunque, il giudizio di professionalità introdotto nel 2006 per i magistrati?

Il giudizio verte su parametri relativi all’esercizio della funzione giurisdizionale. Ma essi sono stati introdotti non per creare gerarchie, “modelli” di magistrati, competizioni o selezioni tra di essi, quanto piuttosto per verificare il mantenimento di uno standard di equilibrio, di laboriosità e di capacità, in poche parole la persistente idoneità del togato a svolgere la sua delicatissima funzione.

I giudizi differenziati, al contrario, piuttosto che migliorare la qualità del servizio e la professionalità del magistrato, rischiano di rendere il magistrato più timido e conformista, al fine di accattivarsi il dirigente “capo” o per non osare interpretazioni (rectius: applicazioni) della legge troppo ardite, che potrebbero subire modifiche o annullamenti in altri gradi di giudizio.

Nei confronti della Politica e dei colletti bianchi, poi, le pagelle possono contribuire a rendere meno autonomi e indipendenti nella decisione o nella libera manifestazione del pensiero i magistrati, per evitare certe gogne che determinano i provvedimenti o comportamenti sgraditi a chi detiene anche il potere mediatico. Il magistrato diventerà un burocrate, più attento ai numeri, alla statistica, al contenuto conformista del suo provvedimento, perché il suo obiettivo non sarà più soltanto quello di rendere la decisione più rispondente ai criteri di legalità, ma anche quello di passare il placet del Presidente del Tribunale o del Procuratore o delle giurisdizioni superiori, nonché degli organi di governo autonomo (locali e centrale).

A subirne le peggiori conseguenze saranno i diritti e gli interessi legittimi dei cittadini, specialmente di quelli dei più deboli e indifesi, sprovvisti di altro genere di reazioni a soprusi e ingiustizie, se non quello di ricorrere ad un giudice tramite un Avvocato.

Le pagelle incidono anche sull’indipendenza interna, come già detto, sotto altro versante. Qualche mese fa è stata persino indetta una astensione dal lavoro da parte della categoria dei magistrati, perché questa riforma “rende gerarchicamente ordinati anche gli uffici giudicanti, crea una magistratura alta e una bassa, e aumenterà quell’ansia di carriera che tanto danno ha già fatto, e continuerà a fare”. Oggi, invece, si assiste ad un disarmante silenzio. Perché?

Le pagelle consentono al potere interno (leggasi: il “partito” delle correnti che governa il Csm e i Consigli Giudiziari) di incidere ancor più fortemente sulla “carriera” del magistrato. In questo modo esso ha un altro modo per soggiogare la libertà di giudizio e l’indipendenza del singolo alla forza della discrezionalità delle valutazioni di professionalità con voto. Non si spiega altrimenti il silenzio odierno dei gruppi associativi esistenti all’interno della Magistratura.

Dopo avere rasserenato con una manifestazione isolata di protesta, nel mese di maggio dell’anno scorso, una “base” sconfortata e arrabbiata, le correnti al comando sanno che la stabilizzazione di questo sistema di giudizio le renderà molto più forti, rafforzando il clientelismo dilagante per ottenere una “promozione” o aggravando la soggezione del singolo magistrato che rischi un giudizio “non positivo” o “negativo”.

Si tratta di una conseguenza deleteria alla quale certamente condurrà questa ulteriore, scriteriata, riforma. Nel silenzio, al momento, dell’Associazione dei Magistrati e delle sue anime “culturali”.

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