Rispetto a 20 o a 30 anni fa, il clima all’interno della magistratura è diametralmente cambiato. Il 99% dei magistrati, se vedono il nome di un politico, cerca di girarsi dall’altra parte. E la stessa cosa fanno le forze dell’ordine. In questo paese le inchieste sui potenti sostanzialmente non vengono più fatte, perché si conoscono perfettamente le reazioni possibili e i magistrati pur sempre sono uomini, nel bene e nel male”. Sono le parole pronunciate a Tagadà (La7) da Peter Gomez, condirettore del Fatto Quotidiano e direttore de ilfattoquotidiano.it, commentando il caso Crosetto, sul quale il giornalista concorda con l’analisi di Paolo Mieli circa le motivazioni della sortita del ministro della Difesa contro i magistrati: “Siamo solo ai sospetti, che sono quelli detti da Mieli, e cioè che qualcuno abbia riferito al ministro dell’esistenza di qualcosa che lo potesse riguardare. Alcuni giornali hanno riportato altre ipotesi, ma sono talmente labili da non condurre a nessuna possibilità di sviluppo sulla vicenda”.

Gomez invoca come dovere primario della politica l’impegno affinché funzioni la giustizia: “Allo stato attuale, i tempi dei processi continuano ad allungarsi e le sentenze sono spesso incomprensibili per i cittadini. E questo è dovuto ai malfunzionamenti della struttura giudiziaria. Ci avevano promesso che con la riforma Cartabia avremmo trovato il modo di far funzionare i processi più velocemente. Ma questo non è successo. Anzi”.
E spiega: “Come abbiamo scritto oggi sul Fatto Quotidiano, il famoso processo telematico nel penale, che è una delle condizioni per cui ci daranno dei soldi del Pnrr, ha visto l’attuazione di un programma informatico, poi esaminato dagli esperti del ministero della Giustizia, secondo cui però questo programma non funziona perché blocca tutte le inchieste. Cioè quello che dovevano fare i tecnici del governo è stato fatto coi piedi”.

Gomez conclude: “Possono parlare di tutto quello che vogliono, ma intanto comincino a far funzionare i processi. Io ormai sono giunto alla conclusione che non ci sia la volontà politica da parte di nessuno che i processi funzionino, perché se i processi hanno tempi accettabili, si viene accertato chi è il colpevole e chi è l’innocente – chiosa – Se invece i tempi non sono accettabili, qualunque sia la sentenza, questa sostanzialmente non ha più significato se non per chi la riceve. Quindi, per certa politica è meglio una giustizia che non funziona. Non trovo altra spiegazione”.

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