Sicuramente l’assegnazione di Expo 2030 a Riad ha risentito anche della sproporzione economica tra i due Paesi, ma la vittoria schiacciante della Capitale d’Arabia – 119 voti su 182 – e il terzo posto di Roma, dopo la coreana Busan, con soli 17 voti per di più raccolti fuori dall’Unione Europea, indicano comunque una scarsa considerazione delle potenzialità della Capitale, sia dal punto di vista della proposta avanzata per Expo, sia dal punto di vista della sua condizione attuale, ancora in grande affanno e ben lontana dagli standard europei.

Un progetto che avrebbe dovuto realizzarsi in periferia, accanto all’Università di Tor Vergata, su cui il sindaco Gualtieri aveva puntato molto, all’insegna di “rigenerazione urbana, inclusione e innovazione” riassunti nel titolo “Humanlands – Persone e territori: immaginare nuovi habitat”. Il sito ufficiale dell’evento, romeexpo2030.com, parlava di “un’occasione unica e irripetibile per mettere al centro dell’attenzione l’uomo e la sua capacità di reinventare il proprio ‘habitat’, la città, bilanciando sviluppo e sostenibilità ambientale. Entro il 2050, le metropoli ospiteranno i due terzi dell’intera popolazione mondiale: la relazione tra territorio e persone è una delle più grandi sfide del nostro tempo. Roma vuole essere il centro di questo nuovo modello di città: inclusivo, interconnesso, sostenibile e condiviso”. Purtroppo le immagini e il commento fuori campo degli spot con toni – come si conviene – assai trionfalistici, stridevano e stridono non poco con la realtà che incontra qualsiasi visitatore che arrivi nel centro di Roma, e ancora di più che si allontani verso le sue periferie. E due anni di amministrazione Gualtieri non hanno certo cambiato gli annosi problemi della Capitale.

Ma la mancata aggiudicazione di Expo è davvero una sciagura per Roma?

Non sarebbe ora di abbandonare questo continuo lancio di eventi speciali come rimedio miracoloso dei mali della città, grazie a profluvi di soldi e turisti, che poi si scopre che lasciano incompiute e rovine a fronte di ben pochi vantaggi, per di più distribuiti in modo assai disuguale? Non sarebbe ora di archiviare i poteri speciali che ogni volta si tirano fuori dal cappello delle emergenze per velocizzare opere pubbliche e private, e affidarsi invece a una pianificazione pubblica di medio e di lungo periodo, rispettosa delle norme poste a tutela dell’ambiente e del benessere dei cittadini? Non sarebbe ora di abbandonare questa retorica della “rigenerazione urbana”, slogan di moda che a Roma nella maggior parte dei casi si traduce in un mero “rinnovo edilizio” nelle zone dove è più remunerativo per gli investimenti immobiliari, trasformando la città non in base ai bisogni degli abitanti ma alle mire di un profitto privato sempre più ingordo? Non sarebbe ora di abbandonare questa visione di una Roma che può campare solo di turismo – ormai iperturismo – che sta letteralmente soffocando alcuni quartieri della città non portando alcun miglioramento alla maggior parte degli altri?

Come Carteinregola avevamo salutato con entusiasmo la decisione dell’Amministrazione Raggi di rinunciare alla candidatura delle Olimpiadi 2024. Speriamo che la “sconfitta” di Expo 2030 porti qualche lezione di saggezza ai nostri amministratori.

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