“La circostanza dell’avere l’imputato, pacificamente a digiuno della lingua italiana, compreso di essersi venuto a trovare di fronte a due carabinieri” non è “dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio”. Lo scrivono i giudici della Prima sezione penale della Cassazione nelle motivazioni della sentenza che, lo scorso marzo, ha annullato con rinvio la condanna a 22 anni inflitta all’americano Gabriel Natale Hjorth per l’omicidio del vicebrigadiere dei Carabinieri Mario Cerciello Rega, ucciso con 11 coltellate a Roma nel luglio del 2019. La Suprema Corte ha disposto un nuovo giudizio d’Appello per Hjorth e per il suo connazionale Finnegan Lee Elder, condannato a 24 anni, ordinando di rivalutare la sussistenza dell’aggravante dell’omicidio commesso “contro un ufficiale o agente di pubblica sicurezza, nell’atto o a causa dell’adempimento delle funzioni o del servizio” e del reato di resistenza a pubblico ufficiale.

Secondo i giudici di ultima istanza, infatti, non è sufficiente che Cerciello e il suo collega Andrea Varriale – entrambi in borghese – si fossero identificati come “carabinieri” con i due statunitensi, da cui stavano cercando di recuperare uno zainetto rubato: “La Corte di Assise di appello ha basato il suo convincimento” sul fatto che “la parola “carabinieri” è ampiamente conosciuta anche all’estero. Un assunto che, non essendo in alcun modo sviluppato, né correlato a ragionevoli termini esperienziali, logici, oppure a dati obiettivi, finisce con il proporre una mera ipotesi congetturale (oltretutto inficiata da un generico ed incompleto riferimento all’”estero”, che neppure individua i Paesi presso i quali il vocabolo sarebbe, in tesi, conosciuto)”, si legge nelle motivazioni.

“È evidente che se la parola “carabiniere/i” fosse conosciuta, ad esempio, in Spagna e in America latina, si tratterebbe, pur sempre, di un “estero” che non comprende gli Stati Uniti d’America dove vive l’imputato” sottolineano i supremi giudici nella sentenza su Hjorth. Pertanto, argomentano, “non può all’evidenza fondarsi il convincimento circa la esatta percezione e comprensione della qualifica in discussione da parte dell’imputato Elder, del quale la stessa Corte di merito ha messo in rilievo, a più riprese, l’ignoranza della lingua italiana”.

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