“Condivido l’idea del governo di dare una stretta al fenomeno dei medici a gettone, ma deve esserci un’alternativa e in questo momento non c’è”. Fabio De Iaco, presidente nazionale della Società Italiana di Medicina d’Emergenza-Urgenza (Simeu), ha appena letto gli emendamenti definitivi al Decreto Bollette. Il provvedimento, varato dal consiglio dei ministri il 28 marzo, approderà in aula alla Camera il 17 maggio. Molte le misure di carattere sanitario al suo interno. Tra queste, anche l’intervento voluto dal ministro della Salute, Orazio Schillaci, per arginare il ricorso alle esternalizzazioni da parte del Servizio Sanitario Nazionale. Nella prima stesura, il decreto prevedeva che i medici a gettone potessero continuare a operare solo nei pronto soccorso e per massimo un anno, senza possibilità di proroga. Ma il pugno duro del governo rischiava di causare molti problemi agli altri reparti, privati all’improvviso dell’unica forza lavoro disponibile. Chiudendo ai medici delle cooperative e delle società private, senza offrire delle alternative che possano sostituirli, gli ospedali rischiano di rimanere deserti, senza personale. Ed è per questo che la maggioranza ha deciso di fare marcia indietro con gli emendamenti. Senza, però, trovare delle soluzioni reali al problema.

In molte regioni, il Ssn non è in grado di stare in piedi senza i gettonisti. “Vengono chiamati quando non ci sono altre risorse disponibili. Quando le altre possibilità sono state tutte vagliate, senza successo”, spiega De Iaco a ilfattoquotidiano.it. Gli ospedali italiani soffrono da anni di una grave carenza di organico. Così, le aziende sanitarie sono costrette ad appoggiarsi a enti terzi privati, per garantire turni che altrimenti rimarrebbero scoperti. Ma queste esternalizzazioni costano molto al Ssn. Il medico a gettone, infatti, lavorando meno, gode di paghe che superano fino a tre volte quelle percepite dal professionista dipendente pubblico. Questa disparità di trattamento economico, affiancata dalle difficili condizioni di lavoro di chi è in servizio negli ospedali, soprattutto nei pronto soccorso, ha causato negli anni una continua emorragia di medici, dal pubblico verso il privato. Il risultato è che i concorsi vanno deserti e nelle graduatorie non ci sono camici bianchi da assumere al posto di quelli che provengono dalle società private.

A questo si aggiunge il cortocircuito per cui le stesse risorse prima in servizio nel Ssn, una volta date le dimissioni, rientrano nel pubblico dalla porta sul retro, come partite iva. Dopo aver siglato un contratto con una cooperativa o una società, infatti, i gettonisti vanno a ricoprire le stesse posizioni lasciate scoperte dalla loro dimissioni. Solo che questa volta potranno decidere loro quando lavorare e potranno godere di una paga oraria molto maggiore. In questo modo, nelle Regioni interessate, le esternalizzazioni provocano un rilevante incremento dei costi. Spese che, oltretutto, non sempre garantiscono adeguati livelli qualitativi delle prestazioni sanitarie, talvolta erogate anche da professionisti non specialisti.

“Il decreto introduce novità importanti – spiega De Iaco -, come l’equità retributiva per i gettonisti e l’aumento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive del personale sanitario dei servizi di emergenza-urgenza. Sono misure che hanno un valore economico in sé, ma anche simbolico, di riconoscimento”. L’aspetto economico, infatti, non è la priorità per la categoria. “Dobbiamo affrontare il problema a livello sistemico, ragionando strutturalmente sul lavoro in pronto soccorso”, precisa il presidente di Simeu. I camici bianchi dei reparti di emergenza auspicano che venga riconosciuto il valore della loro specializzazione. È necessario per tornare a essere attrattivi agli occhi dei neo laureati e risolvere la carenza di personale. I giovani usciti dall’università, infatti, non vogliono lavorare nei pronto soccorso. Lo dimostra il fatto che, nell’ultimo anno, oltre il 60% delle borse di specializzazione nazionali per medicina d’emergenza-urgenza non è stato assegnato o è stato abbandonato.

Proprio sugli specializzandi è intervenuto il Decreto Bollette: fino al 31 dicembre 2025, indipendentemente dalla scuola che stanno frequentando, potranno assumere, su base volontaria e al di fuori dall’orario dedicato alla formazione, incarichi libero-professionali nei servizi di emergenza-urgenza ospedalieri del Ssn, per un massimo di 8 ore settimanali. Per questa attività extra, sarà corrisposto un compenso orario, pari a 40 euro lordi, che integra la remunerazione prevista per la formazione specialistica. “L’idea di coinvolgere gli specializzandi in pronto soccorso era buona – conviene De Iaco -, ma 8 ore sono troppo poche, è una follia. Non ci copriamo neanche un turno di notte da 12 ore. Avevo personalmente richiesto in audizione in Commissione Affari sociali alla Camera che venissero estese almeno a 18 ore settimanali”. Ma la richiesta, recepita inizialmente da un emendamento del deputato di Fratelli d’Italia e vicepresidente della Commissione, Luciano Ciocchetti, è rimasta alla fine inascoltata ed è stata eliminata dal testo finale.

Per il presidente di Simeu dare la possibilità agli specializzandi di svolgere la libera professione nei pronto soccorso era vitale per la sopravvivenza del sistema: “Gli ospedalieri come noi si stanno ammazzando per portare avanti il servizio. Io non so come fare a garantire le ferie ai colleghi questa estate. Ogni mese ho nuove richieste di dimissioni e non sarà qualche soldo in più a cambiare la situazione”, lamenta De Iaco. “Nonostante questo – continua – le università (con cui gli specializzandi stipulano i contratti di formazione, ndr) non ci sono venute incontro e ora non abbiamo la possibilità di inserire nuove risorse”. Per questo Simeu ha chiesto un incontro con la ministra dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini. “Vogliamo capire perché è stata presa questa decisione – spiega De Iaco – Gli specializzandi già lavorano fuori del loro orario. Anche molto di più rispetto alle 18 ore che avevamo chiesto noi. Sia nelle stesse Scuole, sia in altre attività, come la continuità assistenziale, le guardie mediche, le sostituzioni di medicina generale, i prelievi o i vaccini”.

Ogni giorno, molti pronto soccorso, anche importanti, rischiano la chiusura a causa della carenza di personale. L’unico posto dove si possono trovare delle risorse sono le scuole di specializzazione. “Da un punto di vista della qualità, gli specializzandi sono imparagonabili rispetto ai medici che ci arrivano dalle cooperative – spiega De Iaco -, hanno un livello molto più alto. Se moduliamo le loro responsabilità in base all’anno che stanno frequentando e gli affianchiamo dei medici strutturati, possono essere molto utili. Il pronto soccorso non è fatto solo di emergenze”.

Il risultato finale è che, senza l’ingresso di nuove risorse nel sistema, la stretta sui gettonisti deve essere necessariamente allentata, per evitare il collasso del Ssn. Ai medici delle cooperative, quindi, verrà permesso di continuare a operare in tutti i settori dell’ospedale dove si registrano carenze di personale, e non più solo nell’emergenza-urgenza, come previsto inizialmente dal decreto. Il rischio per alcuni reparti di rimanere senza camici bianchi era troppo alto. Fino a che non si riusciranno a fornire nuovi specialisti alle Asl, la sanità pubblica sarà costretta a rifugiarsi nell’esternalizzazione per sopravvivere. Un cortocircuito che può essere superato solo da una riforma sistemica e strutturale, volta a rendere più attrattivo il Ssn. Schillaci, commentando la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Bollette, l’ha promessa. Ma, per il momento, la maggioranza sta provando solo a tappare i buchi causati dal decreto stesso.

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