Ho letto la critica del Prof. Tomaso Montanari alla lettera aperta firmata ormai da oltre 4.000 docenti universitari, tra i quali anche io. Non c’è dubbio, come dice il prof. Montanari, che le università gettino ponti tra le nazioni e debbano essere istituzioni aperte, ma queste affermazioni generiche trascurano la logica di una protesta umanitaria e sostanzialmente imbavagliano le università di fronte a una catastrofe umanitaria come quella che si sta svolgendo a Gaza.

La lettera dei docenti universitari riprende le posizioni espresse dal Segretario Generale dell’Onu: condanna l’attacco contro i civili compiuto da Hamas e la presa degli ostaggi, come condanna la sproporzionata risposta israeliana che ha già causato oltre 10.000 vittime civili tra i palestinesi di Gaza, e che ha interrotto la fornitura di acqua e corrente elettrica di fatto bloccando servizi essenziali come gli ospedali. Chiede con forza un immediato cessate il fuoco. Condanna la pluridecennale occupazione israeliana dei territori assegnati alla popolazione palestinese e critica le debolissime posizioni del governo italiano. Ritengo che fin qui anche il prof. Montanari potrebbe concordare; e comunque se discorda, è discorde dalle posizioni dell’Onu, che noi riprendiamo.

Il punto sul quale principalmente si appuntano le critiche è la richiesta di interrompere le collaborazioni con le università israeliane. Si badi: con le università e le istituzioni di ricerca. Non è una richiesta che noi facciamo a cuor leggero. Siamo d’accordo con ciò che il prof ha scritto nel suo intervento, ma teniamo conto anche di un aspetto che non ha considerato: la richiesta di interrompere le collaborazioni con le università israeliane è un forte segnale mandato al governo e al Parlamento israeliani, ed in particolare al primo ministro Netanyahu, perché solo loro in questo momento hanno il potere di interrompere la carneficina.

Come lo sciopero dei ferrovieri non è diretto contro i viaggiatori ma contro il governo, così la richiesta di interrompere la collaborazione con le istituzioni israeliane non è diretta contro queste istituzioni ma contro il governo e il Parlamento israeliani. Dispiace che ci sia bisogno di spiegare un concetto così ovvio.

Avremmo potuto scrivere un appello per la pace a Gaza senza minacciare o richiedere l’interruzione delle collaborazioni con le università israeliane, ed anzi sottolineando il ruolo pacifico e pacificatore delle collaborazioni scientifiche internazionali. Sarebbe stato un appello debole, fatto di parole; ne abbiamo voluto lanciare uno forte, fatto di azioni. Noi rifiutiamo qualunque discriminazione sulle persone: nelle nostre università abbiamo studenti israeliani, arabi ed ebrei, e vogliamo che si sentano a loro agio, e che possano studiare proficuamente. Pensiamo che le persone siano sempre benvenute e che il ruolo di ponte culturale delle università nei confronti delle persone sia irrinunciabile. Ma al tempo stesso rifiutiamo le politiche di oppressione e il rifiuto di collaborare con le istituzioni pubbliche dei governi che le praticano è il nostro modo di esercitare pressioni su quei governi.

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