Dieci punti per fermare la “carneficina” a Gaza. È con termini duri che le Nazioni Unite, per bocca del suo capo degli Affari Umanitari, Martin Griffiths, hanno presentato il loro piano per arrivare a una pace sostenibile nella Striscia, oggetto di bombardamenti israeliani ormai da più di un mese in seguito all’attacco di Hamas del 7 ottobre. Un progetto che segue quello più embrionale e vago dell’Unione europea, preparato dall’Alto rappresentante per la Politica estera, Josep Borrell, prima del suo viaggio in Medio Oriente.

“La carneficina a Gaza raggiunge ogni giorno nuovi livelli di orrore – ha detto Griffiths – Il mondo guarda scioccato come gli ospedali vengono attaccati, come muoiono neonati prematuri e come una popolazione è privata dei mezzi basilari per la sopravvivenza. Questo non può continuare, le parti in conflitto devono rispettare il diritto umanitario internazionale, accodarsi su un cessate il fuoco umanitario e fermare i combattimenti”. Il messaggio non è rivolto solo alle parti coinvolte, specifica, ma anche a “tutti quelli che hanno influenza su di loro” e “alla comunità internazionale”, affinché si “faccia tutto il possibile” per “appoggiare e realizzare” il piano.

Fra i dieci punti stilati dai funzionari al Palazzo di Vetro c’è quello di “facilitare gli sforzi delle agenzie di aiuti per garantire un flusso continuo di convogli umanitari in forma sicura”. Questo è stato possibile, fino a oggi, solo in minima parte. Innanzitutto, alla luce del divieto senza appello di Israele di far passare le materie prime dal suo territorio, si è dovuto trovare un accordo per far transitare i convogli umanitari dal valico di Rafah, in territorio egiziano, che è stato aperto a singhiozzo. Senza dimenticare i problemi di sicurezza. A fronte di tutto questo, l’Onu chiede di “aprire altri valichi di frontiera per l’ingresso di camion, compreso quello di Kerem Shalom“, e “permettere all’Onu, alle altre organizzazioni umanitarie ed entità pubbliche e private di accedere a carburante in quantità sufficiente per garantire aiuti e servizi basilari”.

Gli altri punti sono incentrati sulla necessità di portare aiuti a Gaza “senza impedimenti o interferenze”, “di espandere il numero di rifugi sicuri per gli sfollati nelle scuole e altre installazioni pubbliche a Gaza che devono essere garantite come zone sicure durante le ostilità”, mentre fino a oggi le bombe di Tel Aviv hanno colpito indiscriminatamente ospedali, scuole, moschee ed edifici delle Nazioni Unite. Si chiede inoltre di “migliorare il meccanismo di notificazione umanitaria per evitare attacchi contro civili e infrastrutture civili”.

Nel documento prodotto dall’Onu si parla anche di stabilire “punti di distribuzione degli aiuti civili, di permettere ai civili di muoversi in zone sicure e tornare volontariamente alle loro residenze”. Si insiste poi sulla necessità di finanziarie la risposta umanitaria che ora corrisponde ad oltre 1,1 miliardi di euro. Infine, si sottolinea come “un cessate il fuoco umanitario” sia essenziale per “permettere la ripresa dei servizi basilari e del commercio, per facilitare l’ingresso degli aiuti, la liberazione degli ostaggi e dare respiro ai civili”.

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