Nella valigia di Josep Borrell, pronto a partire per il suo tour in Medio Oriente, c’è l’embrione di un piano europeo per il futuro della Palestina. L’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, che martedì volerà in Israele per poi raggiungere anche Cisgiordania, Bahrein, Arabia Saudita, Qatar e Giordania, auspica un maggior protagonismo di Bruxelles nel processo di pace tra israeliani e palestinesi. “Ora serve un maggior coinvolgimento dell’Ue nel Medio Oriente e in particolare nella costruzione dello Stato palestinese. Se non si trova una soluzione ora vivremo un ciclo di violenza che si perpetuerà di generazione in generazione”, ha detto il capo della diplomazia di Bruxelles al termine del Consiglio Affari Esteri. Da segnalare, però, che la road map europea, così come presentata, assomiglia più a una dichiarazione d’intenti, con alcuni paletti, che a un vero e proprio documento programmatico. Borrell ha infatti presentato la proposta della Commissione ai 27 ministri degli Esteri europei seguendo uno schema a sei punti: “Tre ‘no’ e tre ‘sì'”. Una formula che, da quanto si apprende, è piaciuta, tanto da ottenere il via libera a lavorare “in partnership con Usa e Paesi arabi” per l’attuazione.

I tre ‘no’ non sono niente di nuovo, anzi ricalcano i limiti tracciati dagli Stati Uniti al principale alleato in Medio Oriente: “No all’espulsione dei palestinesi di Gaza in altri Paesi, no alla riduzione del territorio di Gaza, no alla rioccupazione d’Israele e al ritorno di Hamas”. Così, anche l’Europa si oppone a quello che, stando al documento prodotto dal ministero dell’Intelligence d’Israele, era il primo piano per Gaza: un’evacuazione di massa di civili in Sinai per poter avere campo libero contro Hamas nella Striscia e la creazione di una nuova strategia di sicurezza nell’enclave che prevedeva anche una sorta di zona cuscinetto all’interno dell’attuale territorio palestinese. Il rifiuto dell’Egitto di accogliere milioni di persone nella sua penisola e l’opposizione degli Stati Uniti, però, avevano già escluso la fattibilità del progetto.

Se si guardano i tre ‘sì’ della proposta europea, questi appaiono ancora meno incisivi: “A Gaza servirà un’autorità palestinese, non necessariamente l’Autorità Nazionale Palestinese, la cui legittimità deve essere definita dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, un forte coinvolgimento dei Paesi arabi alla soluzione politica e un maggior coinvolgimento dell’Ue nella regione e in particolare nella costruzione dello Stato palestinese”. In questo caso, le definizioni sono così vaghe da risultare meno nette anche della posizione già espressa dalle Nazioni Unite che chiedono un cessate il fuoco e la ripresa di un dialogo sulla base dell’opzione due popoli e due Stati, con il rispetto da parte di Israele dei confini precedenti al 1967. Per quanto riguarda la leadership futura, la maggior parte degli attori internazionali è d’accordo sul fatto che il prossimo governo di Gaza non possa essere guidato da Hamas, mentre gli Stati Uniti stanno già dialogando con la Anp e il suo presidente, Abu Mazen, che a sua volta ha dato la propria disponibilità a guidare la Striscia. Rimane il nodo della legittimità di un governo a trazione Fatah, la stessa forza sconfitta alle elezioni del 2006 proprio da Hamas e che da quel giorno non è più stata presente nella Striscia.

Sul coinvolgimento degli Stati musulmani, evidentemente divisi in due blocchi dopo l’ultimo vertice di Riyad tra Lega Araba e Organizzazione per la cooperazione islamica, Borrell lancia un appello: “Gli Stati arabi non vogliono parlare del giorno dopo, ma di oggi. Dobbiamo iniziare a lavorare su alcuni parametri per iniziare a cercare la pace. Ho messo sul tavolo un quadro per trovare questa soluzione, sulla quale dobbiamo iniziare a lavorare immediatamente con gli Usa e gli Stati arabi. Non ci sarà una soluzione per il dopoguerra a Gaza senza il coinvolgimento dei Paesi arabi e questo non può essere solo finanziario, devono contribuire politicamente“.

Twitter: @GianniRosini

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