Giovanni ha gusti musicali diametralmente opposti rispetto a quelli di Marco e, a dirla tutta, anche rispetto ai miei e a quelli di sua madre. Noi tre, lo ammetto, siamo molto più nazional popolari, mentre lui, nonostante abbia appena 13 anni, ascolta musica tutt’altro che definibile come mainstream. La mia comprensione di quello che lui fa andare a tutto volume nelle sue cuffie si limita al fatto che si possa definire, genericamente, rap. Ma lì mi fermo.

Qualche estate fa, mentre eravamo in viaggio, provò a farci ascoltare le canzoni di un cantante che stava cominciando ad entrargli nel cuore: Il Tre, all’anagrafe Guido Luigi Senia.

La nostra reazione – oggi posso dire influenzata da pregiudizi che ci avevano fatto fermare ad un livello estremamente superficiale – non fu entusiasta e Giovanni, semplicemente, si rassegnò a mettere le cuffie anche nei viaggi successivi, lasciando noi a cantare Sanremo o qualcosa di simile.
Passarono i giorni e mentre vedevo un programma musicale alla televisione, all’improvviso sul palco arrivò proprio Il Tre; Giovanni era in casa e lo chiamai a gran voce perché non si perdesse il suo beniamino in televisione, come faceva mio padre con me molti anni prima, quando in televisione cantava Madonna, la dea musicale della mia adolescenza.

Lui arrivò a grandi passi, si mise accanto a me e, assieme, ascoltammo dall’inizio alla fine due canzoni che, confesso, mi piacquero. Giovanni lo capì e colse la palla al balzo; a novembre Il Tre sarebbe stato a Milano, nella nostra città, per un concerto che si annunciava molto importante. «Papi, mi ci porti? Per favore…». Forse per entusiasmo o forse per gli occhi da cerbiatto che mi aveva buttato sotto al naso, accettai e lui uscì dalla stanza con un sorriso a 54 denti.

Ancora una volta passarono giorni, settimane e mesi. Arrivò novembre e, con lui, il giorno del concerto. Lo spettacolo era previsto alle 21, ma Giovanni era in ambasce fin dalla mattina. Decise di saltare persino gli allenamenti di calcio cui non rinuncia se non quando ha la febbre a 40 e alle 19.30 avevamo già parcheggiato la macchina davanti al locale in cui, di lì a poco, avrebbe avuto luogo il concerto.

Il nostro anticipo fu premiato con la possibilità di incontrare, sia pure per pochi minuti, Il Tre in persona. Lui fu disponibile e gentile; onestamente felice del vedere che tante persone erano venute lì per ascoltare la sua musica. Giovanni trovò solo il fiato necessario per chiedergli di fare un BeReal ed una foto assieme. Poi in stato di quasi trance tornò sotto al palco.

Io lo guardavo divertito, ma anche rassegnato al passare una serata ad ascoltare a tutto volume musica che, ne ero certo, non avrei sopportato dopo il primo quarto d’ora. Accidenti se mi sbagliavo.

Mentre Il Tre saliva sul palco osannato dai fan (Giovanni incluso), mi accorsi che alle mie spalle c’erano due persone che in mezzo a quella massa di ragazzi saltellanti ed entusiasti spiccavano decisamente. Fra simili ci si riconosce e impiegai pochi secondi a capire che erano una mamma e un papà; quello che per chi si affollava sotto al palco era una star, per loro era semplicemente Guido.
A quel punto il concerto prese una piega decisamente diversa; scaldato anche io dall’amore che saettava dagli occhi dei genitori di Guido, cominciai a sentire per la prima volta le parole che Il Tre aveva messo in musica e, accidenti, erano davvero belle e sensate.

Non erano delle rime, erano storie. A volte belle, a volte crude. Ogni volta sincere e vere.
Forse solo io me ne sono reso conto, ma se Guido guardava tutti con affetto, ogni volta che si girava verso i genitori anche i suoi occhi brillavano come i loro; era felice fossero lì, con lui. Gli stava dicendo che ce l’aveva fatta. Aveva afferrato il suo sogno e lo stringeva forte nelle mani. Non era stato semplice arrivare sul palco sotto al quale oggi migliaia di persone cantano i suoi versi; c’erano stati momenti bui che aveva dovuto attraversare, ma se era riuscito a farlo era perché i suoi genitori avevano deciso di appoggiarlo sempre e comunque, forse anche quando non lo capivano o avrebbero preferito che, come gli diceva il padre, si comprasse un abito elegante.

Posso solo immaginare la felicità di vedere tuo figlio, adulto, che vive il suo sogno realizzato. E mentre lo faccio Guido chiama i suoi genitori sul palco, vuole che tutti vedano la loro felicità e la loro complicità. Intona due canzoni meravigliose, dedicate a loro tre. Parla della loro famiglia, ma io ascolto con attenzione e vengo trasportato in un altro momento, in un altro luogo.

Prima ho davanti a me mio padre e mia madre; le parole di Guido sono quelle che avrei voluto dir loro esplicitamente prima che mi lasciassero; se oggi io sono un uomo felice e realizzato è anche perché loro due hanno avuto l’incredibile coraggio di appoggiare un figlio visionario e sognatore. Poi ho davanti i miei figli, grandi. Spero di avere sempre il coraggio che hanno avuto i miei genitori, che hanno avuto i genitori di Guido. Spero che riuscirò a far capire a Marco e Giovanni che, qualunque scelta faranno nella vita, io sarò accanto a loro.

Guido, grazie per la splendida serata. Grazie per avermi fatto commuovere fino alle lacrime, grazie per avermi regalato un ricordo indelebile e grazie per avermi aiutato a capire i miei figli un po’ di più. Giovanni, la prossima volta che ti bocciamo una proposta musicale, non arrenderti e difendila. Avevi ragione tu, Il Tre fa proprio una bella musica.

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