Lavorare meno a parità di stipendio è davvero possibile? In Italia se ne parla poco, ma in diversi Paesi è già una realtà. Lo racconta, con inchieste, interviste e approfondimenti, FQ MillenniuM, il mensile diretto da Peter Gomez, in edicola da sabato 11 novembre.

Innanzitutto va sfatato un mito. Non è vero che i Paesi dove si lavora di più sono i più ricchi. Lo dicono i dati di Eurostat. In Olanda la media è di 31,1 ore alla settimana, in Grecia 39,7. L’Italia è in linea con la media dell’Unione europea: 36,2 ore, ma con grandi differenze fra chi lavora molto di più e chi molto di meno, data anche l’alta incidenza di part time e stagionali.

In molti Paesi lavorare meno delle canoniche 8 ore per 5 giorni è già una realtà. Nel Regno Unito, per esempio, 61 aziende e 3000 lavoratori hanno partecipato alla più vasta sperimentazione sulla settimana lavorativa di quattro giorni a parità di stipendio e produttività: finito il test, 56 di loro hanno deciso di continuare su questa strada.

Diverse esperienze nel mondo dimostrano che nella maggior parte dei casi la riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio non riduce fatturato e profitti, e in alcuni casi li fa aumentare. A trarne beneficio sono i dipendenti, che lavorano meglio, con meno stress e casi di burn out. E con meno dimissioni, che in certi settori stanno diventando un problema. Tanto che in diversi Paesi la riduzione dell’orario di lavoro è promossa per legge, come in Belgio e nella stessa Olanda.

E in Italia a che punto siamo? Da noi alcune aziende hanno spontaneamente ridotto le giornate lavorative. Banca Intesa dà facoltà di lavorare quattro giorni alla settimana per nove ore al giorno. Tra maggio e ottobre, Lavazza ha introdotto il venerdì pomeriggio libero. Ma sono casi isolati.

In Parlamento giacciono diverse proposte di legge sulla riduzione dell’orario di lavoro, in particolare di M5S e Sinistra italiana. La segretaria del Pd Elly Schlein si è detta favorevole, così come lo sono i sindacati. Dalla destra al governo si registra qualche apertura. Ma nessuno sembra avere voglia di intestarsi davvero questa battaglia.

Dice Serge Latouche, il teorico della “decrescita felice”, intervistato su FQ MillenniuM da Salvatore Cannavò: “Con il progresso tecnico si potrebbe virtualmente lavorare meno, mentre invece la conseguenza è stata quella di lavorare sempre più. Si può dunque lavorare sempre meno, a condizione di avere salari adeguati, cosa che è possibile se si mantiene la medesima produttività”. In Italia un grande sostenitore del lavorare meno è stato Domenico De Masi, amico del Fatto e di FQ MillenniuM, che viene ricordato in questo numero da Antonio Padellaro.

Certo non mancano i problemi. Finora le aziende che nel mondo hanno adottato la settimana corte sono soprattutto quelle tecnologiche e dei servizi, a beneficio dunque dei colletti bianchi. Più difficile la strada per il lavoro in fabbrica, nella logistica, nel commercio. Ma il sindacato metalmeccanico tedesco IG Metall ha inserito la settimana corta nel pacchetto di richieste per il rinnovo del contratto.

Gli esperti segnalano altri benefici per la collettività: lavorare meno riduce gli spostamenti, a beneficio dell’ambiente e del clima. E può aumentare il giro d’affari degli operatori del tempo libero, settore particolarmente importante nel nostro Paese.

Lo stress da lavoro non è una scoperta dei nostri tempi. Già nell’Ottocento Herman Melville, l’autore di Moby Dick, scriveva: “Si parla di dignità del lavoro. Scemenze. La dignità è nel tempo libero”.

Come sempre, nella seconda parte di FQ MillenniuM troverete anche altri temi. Nel numero in uscita vi raccontiamo la storia di Sara Al Saqqa, che a trent’anni è la prima e unica donna chirurgo a Gaza, e in queste ultime settimane si è ritrovata a operare sotto le bombe e in condizioni drammatiche all’ospedale di Al Shifaa, obiettivo di pesanti attacchi israeliani.

Un long form di Ian Urbina, premio Pulitzer e fondatore di The Outlaw Ocean Project, ci spiega invece come molto del pesce che arriva nei nostri piatti provenga dalla potentissima flotta da pesca d’altura cinese, dove si consumano gravi violazioni dei diritti umani e del lavoro, con casi di marinai ammalati e abbandonati al loro destino fino alla morte.

Nell’ultima parte del mensile, una nota più leggera: una lunga intervista a Elio e le Storie Tese, realizzata da Davide Turrini, che si (e ci) divertono dando pagelle sulla bravura tecnica di colleghi blasonati o meno, a partire dai Rolling Stones. Che suonano “male bene”, cioè non mostrano grandi virtuosismi, ma sono stati capaci indubbiamente di lasciare il segno.

Leggete le inchieste e gli approfondimenti su FQ MillenniuM di novembre, in edicola o sul nostro shop.

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