Sono frustrati, stufi del chiacchiericcio democratico che avvelena la vita politica del paese. C’è l’inflazione, c’è una crisi economica sempre più conclamata, la gente stenta ad arrivare a fine mese. Il malcontento è talmente diffuso nella popolazione che loro, nazionalisti convinti, ne approfittano subito per cavalcare l’onda e trovano facili bersagli sui quali convogliare tutti gli istinti più abietti: gli stranieri, gli immigrati. E poi, non ne possono più di essere eterodiretti dalla capitale, covo di burocrati e politicanti incapaci di prendere decisioni nette: vorrebbero l’indipendenza. La loro organizzazione politica è ormai strutturata e curiosamente trasversale: vi si ritrovano l’uomo della strada, l’operaio, il militare e l’imprenditore.

Poi, nella notte tra l’8 e il 9 di novembre del 1923, tentano il colpo di Stato.

Cent’anni fa Hitler, Ludendorff ed i loro sodali fallirono nel loro tentativo di uccidere in culla la neonata Repubblica di Weimar – ci riuscirono una decina d’anni dopo con gli strumenti della democrazia stessa che, una volta al potere, si premurarono di smantellare al più presto.

Oggi i frequenti paragoni diretti tra movimenti politici attuali e nazifascismo (vedasi, per un recente esempio di squisita fattura, il dotto parallelismo tracciato da Andrea Crippa tra il governo di Olaf Scholz e quello di Hitler) si rivelano sempre colossali idiozie. Chi li fa in genere pecca di ignoranza o di malafede. Non siamo più nel 1923, oggi. E’ vero, alcuni fenomeni sociali ed economici a cui assistiamo quotidianamente hanno caratteristiche drammaticamente simili (uguali?) a quelli che allora posero le basi per l’affermarsi del nazismo. Ma oggi, per fortuna, abbiamo imparato la lezione e sappiamo reagire diversamente, meglio.

Per esempio: se ci sono giornalisti indipendenti che fanno seriamente il loro lavoro, indagano e portano alla luce scandali, nessuno si sogna di intimidirli, convocare commissioni di sorveglianza, lanciare accuse tragicomiche con il solo intento di metterli sotto pressione. Se il sistema giudiziario non funziona e lo Stato fatica a reprimere le condotte illecite, la nostra unica preoccupazione è potenziarlo: stanziare fondi ed assumere personale negli uffici giudiziari (ad esempio per la procura di Ivrea), adeguare il diritto processuale alle esigenze di una società sempre più complessa (e, di conseguenza, litigiosa) con pochi interventi mirati e ragionati.

Cent’anni fa la gente delinqueva perché sapeva di farla franca – oggi, neanche per sogno. E’ proprio vero che oggi la nostra stella polare è la libertà, e lo si riscontra in molteplici situazioni della vita: libertà di vivere in contesti familiari non tradizionali (per esempio in coppie omosessuali), anche adottando figli, totale parità dei sessi, libertà di innovare facendo impresa in settori rivoluzionari, come quello della carne sintetica, liberalizzazioni “a tappeto”.

Abbiamo anche imparato a non farci travolgere dall’emotività quando si tratta di affrontare conflitti complessi, anche armati: oggi nessuno si sogna di assumere posizioni estreme di sostegno o condanna dell’una o dell’altra parte. Piuttosto, ponderiamo con grande cautela, cercando sempre di mediare e calmare gli animi.

Si scherza, naturalmente, e chiunque abbia un minimo di sale in zucca non può seriamente paragonare la nostra attuale democrazia – pur con tutti i suoi difetti – coi totalitarismi del ‘900. Allo stesso tempo, il confronto con il tragico passato che condividiamo con altri grandi paesi europei (ed in particolar modo con la Germania), dovrebbe farci realizzare quanta serietà e quando rigore siano stati adottati altrove nel costruire grandi democrazie libere e aperte. E quanto noi, con il nostro governo (i nostri governi?) di dilettanti allo sbaraglio, da troppo tempo abbiamo abbandonato quel percorso.

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