A sei mesi dallo scontro sfociato nell’abolizione del controllo concomitante sull’utilizzo dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il ministro Raffaele Fitto torna ad attaccare frontalmente la Corte dei Conti. Anche questa volta a far innervosire il titolare di Affari europei, Sud e Pnrr sono stati i rilievi espressi dai magistrati contabili, nella nuova relazione sullo stato di attuazione del piano, riguardo all’avanzamento della spesa e ai ritardi nell’attuazione di alcune milestone e target. Da una ricognizione su una trentina di misure è infatti emerso che solo il 7,9% delle risorse è stato effettivamente utilizzato. Quanto al rispetto del cronoprogramma, a inizio ottobre erano ancora inattuate alcune scadenze nazionali del primo semestre e solo 10 dei 69 obiettivi europei del secondo semestre risultavano già raggiunti, mentre 57 erano in corso e due in ritardo. Per Fitto si tratta di “inesattezze“, “dati assolutamente parziali e poco rappresentativi“, “comunicazione errata”. Ma le sue puntualizzazioni in realtà non smentiscono nulla.

Dalla nota, che fa appello al “principio di leale collaborazione istituzionale” che la Corte avrebbe violato, traspare ancora una volta il fastidio per l’approfondita istruttoria svolta nelle oltre 600 pagine di relazione approvata dalle Sezioni riunite in sede di controllo. Il problema, per il ministro, è il metodo: “Leggo che la Corte dei conti ha compiuto l’istruttoria interpellando alcuni Ministeri e sinceramente non comprendo le ragioni del mancato confronto con la Struttura di Missione PNRR della Presidenza del Consiglio dei ministri che ha il coordinamento generale e strategico della realizzazione del Piano”. Confronto da cui “sarebbe emersa una rappresentazione più puntuale dello stato di attuazione del Pnrr evitando alcune inesattezze, anche concettuali”. In cosa consisterebbero dunque inesattezze e presunti errori?

Fitto scrive che “a pagina 6 della Relazione si indicano i ritardi sia nel procedimento di revisione sia nel raggiungimento degli obiettivi della quinta rata“. Ma non contesta quei dati, tratti del resto dal sistema di rendicontazione Regis e integrati con informazioni fornite direttamente dalle amministrazioni titolari: si limita a “ricordare” che “l’Italia è l’unico Stato membro che ha presentato la quarta richiesta di pagamento” e che “siamo al lavoro per il completamento degli obiettivi europei connessi alla quinta rata” che “sono oggetto di modifiche che stiamo definendo in questi giorni” e “saranno valutati dalla Commissione solo dopo la presentazione della richiesta di pagamento”. Nel merito, dunque, nulla da correggere.

Poco dopo si sottolinea che “il nostro Paese ha raggiunto tutti i 28 obiettivi previsti, diversamente non avrebbe potuto presentare la richiesta di pagamento della quarta rata che è stata invece presentata il 22 settembre 2023. In questi giorni la Commissione sta completando la fase di verifica finalizzata all’erogazione di 16,5 miliardi di euro, prevista entro il 31 dicembre 2023″. Ma che i 28 obiettivi siano stati raggiunti è scritto chiaramente proprio a pagina 6 – “Risultano tutti conseguiti a sistema i 28 obiettivi del primo semestre 2023, facendo salire al 34 per cento il livello complessivo di attuazione (28 per cento a fine 2022)” – salvo aggiungere che sono “meno rassicuranti i risultati per le 54 scadenze di rilevanza nazionale“. Anche qui Fitto non ha nulla da rettificare e si limita dunque a ricordare che delle scadenze nazionali non si tiene conto ai fini dell’erogazione delle rate.

Ancora: “A pag. 21 della Relazione viene riportato che non è stata ancora approvata la modifica della quarta rata. Niente di più sbagliato in quanto il 28 luglio 2023 la Commissione e il 19 settembre 2023 il Consiglio Europeo hanno approvato in via definitiva la proposta di modifica della quarta rata“. Ma la tabella di pagina 21, tratta da un rapporto ufficiale della Commissione europea datato 1 settembre, riguarda le proposte di modifica complessiva del piano, non quelle relative a una sola rata. L’Italia ha inviato la propria il 7 agosto e la decisione finale arriverà se va bene entro fine anno.

Il tasto più dolente riguarda però la spesa effettiva dei fondi. La Corte ha evitato in questo momento di fornire dati complessivi proprio perché diffonderli ora, mentre sono in corso le interlocuzioni con la Ue per la revisione e rimodulazione del piano, avrebbe potuto essere fuorviante. Si è quindi limitata a dar conto dello stato di attuazione di 31 misure, di cui 27 del Pnrr e 4 del Piano nazionale complementare, per un valore totale di 35,5 miliardi sui 220 complessivi di Pnrr e Pnc. Si tratta di un campione senza alcuna pretesa di esaustività: tutto spiegato nel dettaglio nel secondo tomo della relazione. Qual è il problema allora? Fitto lamenta che sono “dati assolutamente parziali e poco rappresentativi e peraltro relativi al 30 giugno 2023″ – del resto la relazione è sul primo semestre – ma non dice che siano scorretti. Poi assicura che “la spesa effettiva sostenuta a oggi è abbondantemente superiore ai dati riportati nella Relazione”. Di quanto? “Sarà diffusa solo all’esito della conclusione del processo di revisione del Piano nell’ambito della IV relazione semestrale che il Governo trasmetterà alle Camere”.

Fitto ritiene di dover mettere i puntini sulle i anche rispetto alla presa d’atto della Corte sul fatto che “per portare il peso nell’occupazione della PA delle figure qualificate come “scientists and engineers” agli standard medi europei occorrerebbe aumentarne il numero di ben 65mila occupati“. È vero ma non bisognava scriverlo, sostiene, perché “il Pnrr non può finanziare spesa corrente, ad eccezione di alcune specifiche misure che consentano l’assunzione di personale a tempo determinato per il comparto della giustizia”.

Debolissima anche la contestazione finale, che dovrebbe dimostrare la necessità per la Corte di confrontarsi con la Struttura di missione prima di esprimersi. Il ministro afferma che la Corte si sarebbe smentita da sola perché nella relazione “dà atto del raggiungimento dell’obiettivo sperimentazione idrogeno su strada per il quale la stessa Corte, con la deliberazione del Collegio per il controllo concomitante n. 17 del 2023, affermava ‘il mancato raggiungimento della Milestone europea’”. Ma quella deliberazione riguardava la milestone del 31 marzo (aggiudicazione di tutti gli appalti). E all’epoca il mancato raggiungimento era stato riconosciuto dallo stesso ministero delle Infrastrutture, che aveva spiegato di star valutando la richiesta di una riduzione del target da 40 a 35 stazioni di rifornimento o in alternativa la pubblicazione di un nuovo bando. In luglio è stata scelta la seconda opzione e solo a metà settembre il dossier è stato finalmente chiuso. L’allarme, insomma, era più che giustificato.

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