“Quello che questa una parte di questa destra non capisce è che la lotta al clima non ha una connotazione ideologica. In altre parole, il contrasto alla crisi climatica non va contro nessun valore, né di ‘sinistra’, né di destra. Anzi, chi crede nella competizione e nel mercato deve sapere che senza lotta al riscaldamento globale con buona probabilità non potrà fare più nulla. Per questo l’azione per il clima dovrebbe essere trasversale”. Antonello Pasini, fisico e climatologo del Cnr a Roma e docente di Fisica del clima all’Università di Roma Tre, ne è convinto da tempo: la scienza dovrebbe dare indicazioni alla politica su come mettere in campo un’azione di lunga durata. Domenica 12 novembre, nel corso della seconda edizione del Learning More Festival a Modena, il climatologo parlerà di come affrontare la crisi climatica a scuola. Anche se, spiega, per fortuna i cittadini sono ormai i primi a chiedere di intervenire.“A livello di popolazione la sensibilità sta aumentando, più che nella politica. Questo perché una volta si pensava che la questione climatica fosse un problema per i nostri figli, mentre ora stiamo capendo che è già un problema per noi, perché ci distrugge la casa, i raccolti, fa crollare il turismo. Basti ricordare le polemiche dei giornali americani di questa estate su Roma come ‘infernal city’, viste le temperature roventi”.

Partiamo dalle recenti alluvioni. Ma anche da un settembre e ottobre con una temperatura di molti, troppi, gradi superiori alla media.

La crescita della temperatura media globale continua e nel Mediterraneo ne risentiamo ancora di più. Perché mentre il mondo nell’ultimo secolo si è riscaldato di circa 1, 1,2 gradi, l’Italia si è riscaldata più del doppio. Il Mediterraneo, com’è noto, è un hotspot climatico, un punto critico. Infatti, qui non è cambiata solo la temperatura media ma persino la circolazione dell’aria. Ecco perché mentre prima avevamo l’anticiclone delle Azzorre che portava un tempo mite, oggi il riscaldamento globale di origine antropica ha fatto espandere verso nord la circolazione equatoriale tropicale, e così gli anticicloni che prima permanevano sul deserto del Sahara oggi spesso e volentieri invadono l’Italia e a volte anche l’Europa.

C’è, però, anche il rovescio della medaglia.

Esatto. Quando l’anticiclone africano se ne va ed entrano correnti fredde c’è un contrasto termico molto forte, perché il suolo è caldo e il mar Mediterraneo è surriscaldato, così si creano i disastri che viviamo, le precipitazioni violente che abbiamo visto la scorsa settimana, come cento millimetri di pioggia in due ore.

Quello che stiamo vivendo in quale dei vostri modelli rientra? Siamo nel cosiddetto “business as usual (lo scenario che avviene quando non si fa nulla, ndr)”?

È possibile che riusciamo a scongiurare il business as usual. Guardando ciò che sta accadendo nel mondo e considerando le premesse che hanno fatto i vari stati dovremmo andare verso +3 gradi a fine secolo, mentre con il business as usual arriveremmo a cinque. Ma non è rincuorante. Se vediamo tutti questi fenomeni estremi con un aumento di poco più di un grado di temperatura media, con tre gradi aumenterebbero in maniera esponenziale la siccità e le ondate di calore che già fanno migliaia di morti. Tutto il nostro sistema economico può andare in crisi, l’agricoltura in primo luogo, basta vedere ciò che è successo negli ultimi due anni nel bacino del Po’. Perderemo tutto il turismo invernale, anche se ci sono regioni che continuano assurdamente a costruire impianti. Insomma ogni azione politica dovrebbe guardare agli scenari climatici.

Venendo, appunto, alla politica. L’Italia non ha mai brillato per politiche ambientali. Ma questo governo sembra fare ancora peggio. Sta anche passando l’idea, nella destra italiana come quella europea, che la transizione ecologica sia cosa per ricchi. Che ne pensa?

Io vorrei eliminare il dibattito ideologico rispetto al clima. Abbiamo un problema molto grande, il clima ha una inerzia molto forte per cui non possiamo fare, per dire, cose buone per due anni e per cinque non fare niente. C’è bisogno che ci si accordi su alcune azioni che vanno assolutamente fatta e che devono essere scientificamente fondate. Ci deve essere un pool di scienziati che lo certifichi, ad esempio che dica che un certo tipo di azioni vanno realmente verso la decarbonizzazione, mentre altre rischiano di essere solo greenwashing. Ma non voglio fare un processo a un singolo partito, la lotta al cambiamento climatico non ha colore. Come comitato scientifico “La Scienza al voto” abbiamo fatto degli appelli , chiedendo che gli scienziati propongano un ventaglio di azioni, lasciando poi la decisione finale alla politica. Ma con una raccomandazione.

Quale?

Se non risolviamo il problema climatico qualsiasi visione del futuro è destinata a fallire, non potremo continuare a lungo a tappare i buchi e le emergenze, occorre guardare al lungo periodo. Perché ad esempio si parla di un hub del gas ma non di un hub del fotovoltaico? Ripeto, non risolveremo il problema spostando i rifornimenti di gas da un paese all’altro, tappare una falla senza una visione significa aprire un buco più grande domani.

Anche la stampa, purtroppo, si occupa di clima in maniera intermittente e in base all’emergenza.

Noi abbiamo fatto un appello alla stampa – tra cui uno dei primi firmatari era Giorgio Parisi – dopo l’alluvione in Romagna, che ha avuto una copertura enorme, però falsata dal fatto che si parlava di maltempo come se fosse un cataclisma dovuto a un dio maggiore o alla natura matrigna. Insomma, senza andare a collegare il problema con la causa di quel problema. Noi abbiamo spiegato perché la stampa non dovrebbe fare così e come questo modo di comunicare faccia sentire la gente frastornata e impotente. Bisogna fare un discorso che leghi le cause agli effetti, in modo che possiamo capire cosa possiamo fare, come possiamo agire. E se le persone capiscono poi fanno pressione sulla politica. Insomma, basta con il cherry picking, il dire solo quello che interessa. Occorre fare una informazione completa.

Una domanda sulla prossima e imminente Cop28, su cui c’è già tanto scetticismo. Questi appuntamenti internazionali servono?

Sì, continuano a servire. Ovviamente chi non è dentro al negoziato può pensare che si tratti della classica vetrina in cui ci si mette in vista e basta, in realtà il negoziato è duro, gli sherpa lavorano giorno e notte per venti giorni, cercando di mediare. A livello Onu vige la regola dell’unanimità, ma non è semplice mettere insieme 190 paesi sulle singole parole, anzi sulle virgole. Ho saputo che papa Francesco andrà a Dubai e questo è una cosa importante, la Chiesa ha una rete sul territorio italiano che ormai non ha più nessuno. Ora che le sezioni del Pc sono sparite, che i cattolici siano più sensibili al tema, in questo quadro complesso, è una cosa certamente positiva.

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