“Lui di qui non può passare”. L’alpino a guardia del sacrario del Monte Grappa, nella tarda mattinata del 1° novembre 2023, è gelido e perentorio. Dall’alto della sua fulgida penna nera, e di una evidente sostanziosa colazione, si rivolge a un cagnetto di 12 chili, reo di zompettare nemmeno sul primo gradino del monumento ai caduti della prima guerra mondiale, ma a qualche metro di distanza, su uno stradello laterale appena asfaltato. “Questo suolo è sacro”.

Appuntiamocelo bene. Perché il Piave non mormori invano. Intanto perché il lui è una beagle, quindi una lei, che non aveva alcuna intenzione di mancare di rispetto alla memoria dei fanti maciullati nelle trincee del ’15-’18 appoggiando a terra le sue quattro zampe. E poi perché con lei (che soffre parecchio l’auto) anche i suoi umani accompagnatori erano andati fin lì, dopo 28 tornanti che gridano ‘pietà l’è morta’, proprio per visitare il silenzioso monumento a ricordo dei caduti, rendendogli omaggio, e non per vederlo di sghembo, di traverso, per qualche bianca lastra di profilo.

E se non fosse che anche chi applica le leggi, qui regoline scoperte all’istante su un grande cartello a 1774 metri d’altitudine, ogni tanto qualche domanda su ciò che dice a casaccio se la dovrebbe porre (“perché, lei un cane lo porta al cimitero?”; risposta: “sì, caro valoroso alpino, sì”), ci tocca per forza di cose spaccare il capello in quattro, anzi il pelo di cane, di mulo, di cavallo, e le penne di piccione in otto.

Già, perché i cani, i muli, i cavalli, i piccioni, perfino i gatti sono stati protagonisti di un sacrificio immane nelle trincee della prima guerra mondiale, proprio lì dove zampe e suole di scarpe improvvisamente non si incrociano più per via di una regola da cancellare e trasformare in opportunità di conoscenza e rispetto ulteriore. “C’è chi parla in complesso di 11 milioni di cavalli, 100mila cani, 200mila piccioni partecipanti al conflitto nei diversi schieramenti e, per quanto riguarda l’Italia, addirittura di 500mila muli”, spiega Laura Simeoni nel libro Presenti! Animali protagonisti della grande guerra (De Bastiani editore). “Numeri a parte, ciò che conta è che questi animali, loro malgrado, hanno sofferto nelle trincee, si sono immolati trasportando messaggi o nelle cariche di cavalleria cadendo insieme al loro cavaliere, sono stati massacrati dalle granate e dai tiri dei cecchini, hanno sfidato il fuoco nemico per individuare e riportate a casa i feriti, si sono trasformati in fedeli sentinelle antigas”.

Se la testimonianza di Simeoni è da leggere, e per l’amico alpino di tempo e voglia nella lettura ce n’è poca, suggerisco un documentario di Folco Quilici intitolato Animali nella grande guerra (Red Film – Luce), dove la coabitazione soldato umano e soldato animale diventa ancor più chiara e diretta tra foto e immagini. Pensate a ciò che scrive un generale, tal Quintino Ronchi, comandante del settore Adamello-Alta Val Camonica, in un libro del 1921, La Guerra sull’Adamello: “Nell’estate del 1916 si sperimentò un gruppo di cani per il traino di slitte sui ghiacciaio, poi il numero aumentò gradualmente. Preziosi animali. (…) Con attacchi a tre a tre trainavano le slitte con un carico utile da 130 a 150 kg. Erano quasi tutti dislocati a Passo Garibaldi in una grande baracca costruita ad uso canile con doppie pareti e sollevata di circa un metro sul piano della neve. Avevano una razione quasi identica a quella del soldato. Nessuna malattia contagiosa ebbe mai a svilupparsi. I loro nomi erano quelli comuni alla stirpe canina, ma non mancavano quelli chiamati Crispi, Garibaldi ecc…”.

Vostro onore del tribunale militare del Grappa, ci sembra che basti anche così. Cani, muli & co. non solo devono salire sulle bianche scale del sacrario senza remora alcuna, ma essere ricordati con tutti gli onori militari e della storia, di umanità e fratellanza che meritano. Quindi ci rivolgiamo al ministro della Difesa, perché a questo dicastero mi risulta faccia capo l’organizzazione di luoghi e cerimonie sui luoghi della memoria del ’15-‘18, per una semplice, banale, onorevole richiesta: nelle ore delle celebrazioni del sacrificio dei nostri soldati per il sacro suolo italiano, si ricordino pubblicamente anche gli animali che alla pari del fante e dei sottoufficiali si immolarono per noi.

Ma soprattutto: da domani si cancelli quell’odioso divieto con esseri viventi sacrificati di serie A e serie B. Foss’anche solo per evitare gli assembramenti canini non autorizzati, visto che davanti al Monte Grappa c’erano più cani in attesa dei padroni stessi saliti singolarmente (noi no) a visitare il luogo sacro.

Viva l’Italia, viva la patria, viva cani, cavalli e muli sul sacrario del Monte Grappa.

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Va bene il merito, ma mettiamoci d’accordo sui criteri

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