Venerdì 13 ottobre si è svolto l’incontro “Emilia Romagna e Campania a confronto. Visioni, leggi, prassi sul governo del territorio e consumo di suolo” promosso dalle Associazioni Il Manifesto in rete, Infiniti Mondi e OsservaBO, ne hanno discusso insieme urbanisti e ambientalisti delle due realtà. Il modello di urbanistica bolognese ed emiliano romagnola, orgoglio e vanto della classe dirigente di un tempo non troppo lontano, si mette a confronto con quello senza dubbio storicamente più discutibile di un territorio importante come la Campania che deve assolutamente cambiare strategia se non vuole subire ulteriori declassamenti. Entrambi i posti sono di fronte all’evidenza di una crisi climatica e ambientale che non può più essere elusa e non ammette più rinvii.

L’Emilia Romagna, colpita dalla recente tragica alluvione e dai precedenti terremoti, scopre quanto sia fragile ed esposto il proprio assetto idrogeologico in conseguenza di eventi calamitosi, non più imprevedibili e sempre più frequenti, mentre la Campania – che di emergenze ne patisce da sempre per molteplici diverse ragioni – si misura con l’assoluta necessità di strumenti di pianificazione e intervento adeguati e non trova corrispondenza nei progetti legislativi regionali.

L’Emilia Romagna è alle prese con la necessità di modificare non poco, dopo sei anni di applicazione, una legge urbanistica che – direbbe Jovanotti – “procede per eccezioni” e si ritrova così ai vertici nazionali del consumo di suolo e pure nel titolo della stessa legge, (con una buona dose di manicheismo) si propone di raggiungere “il consumo di suolo a saldo zero entro il 2050”.

La legge regionale 24/17, è un modello per uscire dalla crisi dell’urbanistica? È la domanda retorica che si pongono gli urbanisti. La legge, a sei anni dall’approvazione e dall’entrata in vigore, non è stata ancora oggetto di una valutazione effettiva, dal momento che buona parte dei comuni non hanno ancora dato corso al principale adempimento prescritto, ovvero la definizione del proprio Piano Urbanistico Generale, sulla base della misurazione del territorio urbanizzato, al fine di poter computare il limite del 3% di edificabilità consentita entro e non oltre il 2050.

In sostanza la legge che pure introduce obiettivi qualificati in relazione all’implementazione della rigenerazione energetica degli edifici, non interviene adeguatamente se non negli ambiti del territorio urbano, dove pure lascia mano libera alle proposte dei privati, per la definizione degli interventi, mentre lascia pressoché incontrollate le aree rurali dove l’assenza di qualsiasi riferimento alla legge, sta determinando uno sviluppo edilizio esteso e polverizzato, molto preoccupante. Non si possono affidare al sistema degli accordi con i privati le decisioni che richiederebbero capacità di valutazione tecniche che molti Comuni non possiedono mentre si è indebolita la funzione di pianificazione provinciale.

L’alluvione di maggio e giugno, con tutta la sua carica distruttiva, ha messo in evidenza la necessità di una riprogettazione del sistema idrogeologico, di monitoraggio dei rischi di frane e di una viabilità più rispondente a criteri di sicurezza, ma soprattutto di intervenire dove gli argini dei fiumi, le insufficienti casse di espansione e le edificazioni in zone inappropriate determinano rischi ancor più gravi come si è avuto modo di constatare, quindi una predisposizione a cambiare impostazione e priorità.

In Campania si è cominciato tardi a legiferare in materia urbanistica e la prima legge regionale la numero 16 del 2004 fu varata dalla giunta Bassolino. Del resto la Campania, forse anticipando i tempi, ha sempre avuto riluttanza a pianificare, in primo luogo attraverso la sistematica proroga dei termini di sostituzione dei vecchi piani regolatori comunali con quelli urbanistici previsti dalla legge, per il poco rispetto dell’obbligo di redigere i piani paesaggistici, oltre che per l’assoluta penuria di risorse economiche nei comuni per consentire di ottemperare agli obblighi. Fatto sta che la Campania è la terza regione d’Italia per consumo di suolo, le caratteristiche di questo sviluppo sono prevalentemente finalizzate ad accrescere la rendita immobiliare e un terziario dequalificato.

Gli ultimi drammatici eventi disastrosi accaduti in Campania come a Ischia, hanno posto con evidenza il rischio crescente che costituisce l’impermeabilizzazione di aree contigue ai corsi fluviali, è necessario un cambiamento radicale di politiche di governo dei sistemi fluviali e dell’assetto idrogeologico, il consumo di suolo soprattutto nelle aree contigue a corsi fluviali non può essere più consentito, è necessario realizzare progetti di rinaturalizzazione dei corsi d’acqua oggi costretti in alvei innaturali, non rinunciando anche ad opportune desigillazioni di aree importanti per il corretto defluire delle acque. Non è più solo un problema di intervenire nell’emergenza ma bensì di prevenzione attraverso una politica urbanistica orientata a al riassetto delle intere aree interessate.

Questi sono i problemi che quotidianamente i sindaci sono costretti ad affrontare, in una situazione in cui si avverte l’assenza dello Stato, il disorientamento delle Regioni, la mancanza di apparati tecnici. Le alluvioni hanno reso evidente come anche tutto il sistema viario in zone pedemontane deve essere programmato considerando alternative funzionali agli assi viari principali che possono essere interessati dai fenomeni franosi, sempre più frequenti e diffusi, così come non è più consentito che gli interessi privati condizionino scelte di localizzazioni che non sono compatibili con l’esigenza di sicurezza del territorio.

Ciò rappresenta molte volte per i sindaci che hanno il coraggio di esporre la realtà delle cose, di fronte a contestazioni e a pressioni di ogni tipo, come se una sorta di irresponsabilità collettiva che obnubila le opinioni negando la realtà, soprattutto dei principali “portatori di interesse”.

Oggi noi siamo subissati di raccomandazioni e norme dei diversi organismi europei per adottare le misure necessarie a fronteggiare l’emergenza climatica per contrastarne e mitigarne gli effetti: l’European Green Deal e il Nextgeneration.eu, le legge europee sul clima, ma le risposte vanno in direzione del tutto contraria. Le condizioni dei piani incompiuti e in eterna transizione, il depauperamento degli strumenti di pianificazione, l’inadeguatezza delle risorse degli enti locali, la spinta alla edificazione e al consumo illimitato di suolo come testimoniano le ultime rilevazioni Ispra, 77 km quadrati in più in un solo anno sono ben di più che un grido d’allarme. È necessario, indispensabile invertire la rotta.

Qui la video registrazione del dibattito

Articolo Precedente

Nove supermercati in 2 chilometri, nel Milanese la sindaca leghista autorizza il decimo e cancella un’area verde. Le proteste: “Basta cemento”

next
Articolo Successivo

Tutta colpa del Seveso! Storia del fiumiciattolo di Milano che solo gli austriaci capirono

next