di Giulio Di Donato

La vicenda di Aboubakar Soumahoro è tornata alla ribalta in seguito all’arresto della moglie e della suocera: l’accusa è quella di aver utilizzato a proprio esclusivo vantaggio i denari pubblici destinati alle attività di assistenza e soccorso dei lavoratori stranieri organizzate dalla cooperativa fondata dal parlamentare italiano di origini ivoriane. Con quelle risorse le due indagate si sarebbero garantite uno stile di vita all’insegna del lusso, in questo eguagliando i costumi del “mondo di sopra” abitato da gruppi ristretti di privilegiati. Mentre accadeva questo il “mondo di sotto” dei tanti che lavoravano e fruivano dei servizi della cooperativa denunciava una situazione di intollerabile inganno, sfruttamento e soggezione.

Anche se il procedimento penale lo riguarda al momento solo indirettamente, il profilo politico di Soumahoro risulta ormai definitivamente macchiato. E questo per i seguenti motivi.

Il giovane sindacalista è diventato nel tempo un volto noto al grande pubblico grazie all’esemplarità della sua vicenda personale e alle sue spiccate doti comunicative, delle quali si è servito per esibire la sua diversità morale e una completa identificazione tra se stesso e le cause umanitarie a favore degli oppressi di cui negli anni si è fatto paladino. Ora, le logiche con le quali egli si è affermato sono le stesse che lo stanno divorando: la logica della spettacolarizzazione che prima ne ha celebrato l’ascesa, adesso ne decreta la caduta. Nel frattempo, il giudizio impolitico sulla sua integrità morale si è rovesciato in un giudizio di indegnità morale.

La politica, sia ieri che oggi, rimane la grande assente: la logica del politico cede difatti il passo a quella morale e a quella umanitaria, così come soccombe di fronte a quella della performance social-televisiva, che prima esaltava le gesta del novello Spartaco che varcava le porte del Palazzo con gli stivali del bracciante, mentre ora fa da sfondo ad uno spettacolo triste che riporta alla mente quello dei personaggi televisivi condannati ad uscire dall’isola dei cosiddetti famosi.

Insomma, la questione Soumahoro va affrontata innanzitutto sul piano politico e chiama in causa la necessità di rivedere i processi di selezione della classe dirigente, sulla base di nuovi e diversi parametri: è arrivato il momento di valutare il singolo attivista più dal punto di vista della passione e dell’intelligenza politica, che da quello delle sue qualità di individuo privato o di figura mediatica di successo. Si tratta cioè di passare dalla dialettica tra etica dell’uomo probo ed etica dei competenti nel segno del mito della società civile, che ha caratterizzato gli ultimi decenni della storia del nostro Paese, ad una dialettica di tipo nuovo tra etica delle convinzioni politiche ed etica della responsabilità pubblica nel nome del senso del primato e dell’autonomia della politica come specifica “vocazione/professione”.

Certo, in tempi di spoliticizzazione integrale e di compensazione moralistica, i tradimenti dell’onesto (vedi Di Maio) e del giusto (vedi Soumahoro) vengono prevalentemente giudicati con le lenti della morale privata, generando un tipo di indignazione che il più delle volte precipita nel riflusso rancoroso. Il giudizio politico tende così a coincidere con il giudizio sulla persona: contano alla fine più i vizi e le virtù private che quelle pubbliche. Parallelamente più che il “corpo politico” legato ad una specifica funzione pubblica è il “corpo naturale” dell’individuo concreto chiamato a ricoprire determinati ruoli politico-rappresentativi a divenire oggetto prevalente di identificazione e investimento emotivo.

In ogni caso, la doppiezza dei puri non solo alimenta la nostalgia per la doppiezza togliattiana del totus politicus, ma aggrava sempre più la frattura tra il carnevale della politica-spettacolo e il sentire infastidito di buona parte della popolazione italiana. Dalla quale non proviene solo cinismo e disincanto: negli anni è difatti affiorata anche una sensibilità nuova, più esigente, soprattutto fra i più giovani, che ha generato insofferenza verso le parole separate dalla realtà, verso il moralismo ipocrita e lo schematismo astratto, verso l’appello ai buoni sentimenti in assenza di buon senso e senso della realtà. Certo, le vedute politiche sono centrali, ma non è meno importante per molti, anche se tutto ciò può produrre le distorsioni di cui si è scritto, il giudizio sulla persona da cui provengono, sull’autenticità di chi le professa, su come le idee vengono espresse attraverso il modo di parlare, sul concreto modo di testimoniarle con il comportamento, sul sentimento che investe la voce di chi le sbandiera.

Ben più convincente e persuasiva appare infatti la parola che coincide con la vita reale, la verità dimostrata negli atti del quotidiano, l’idea che si incarna in una serie di comportamenti reali, l’etica dei principi quando si traduce in una testimonianza di vita coerente ed esemplare. Tutte qualità che Soumahoro sembrava incarnare e che erano alla base delle attese positive dei tanti che l’hanno sostenuto e appoggiato.

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