“Se Azione continuerà a sedere nei banchi della maggioranza, io non metterò più piede in quest’aula”. Quasi nove mesi dopo quella dichiarazione nei palazzi presidenziali si ragiona di come – e se – affidare un assessorato regionale ad Azione. È il 17 febbraio del 2023. Il presidente della Regione, Michele Emiliano, in una accesa e convulsa seduta della massima assise pugliese, tocca l’apice dello scontro con il partito di Carlo Calenda. Non una guerra a senso unico, visto che solo qualche mese prima lo stesso leader di Azione, aveva definito Emiliano “il peggio della politica”, aggiungendo “non lo sosterremo mai”.

E, dunque, cosa ha fatto cambiare così radicalmente il rapporto tra le parti, trasformandoli in “quasi” alleati? Il fatto che ci sono state e ci saranno le amministrative prima e le europee dopo. E spostando la barra temporale un po’ più in avanti, anche le regionali. Troppe scadenze. Occorre ragionare. Anche perché si ragiona sui fatti: nel maggio scorso a Brindisi Azione ha sostenuto il candidato di centrodestra, poi preferito dai cittadini alla proposta del Movimento 5 Stelle e del centrosinistra. Nelle scorse settimane, invece, l’elettorato di Foggia ha premiato la candidata del campo largo (M5S, Pd, Italia Viva e Azione). Non tralasciando, però, anche un altro aspetto: nell’aula consiliare, l’opposizione da parte dei calendiani si è fatta sempre più serrata. E non di rado la seduta del Consiglio regionale è finita con la mancanza del numero legale. In buona sostanza, i numeri servono. Per tutte queste ragioni, è il ragionamento, l’ascia di guerra va sotterrata.

Ed è quello che intende fare il governatore. “La pace è essenziale per fare le elezioni – è stato il suo commento di qualche ora fa -, servono pace e rispetto. Questo è il mio principale compito, quello di fare in modo che tutti si rispettino”. Ma l’accordo per un ingresso in giunta non è così semplice. Perché al termine del vertice di maggioranza della scorsa settimana, i partiti hanno deciso di puntellare il perimetro dell’alleanza e di disarcionare Azione dalla presidenza della commissione Bilancio, attualmente occupata da Fabiano Amati, approfittando del refresh degli incarichi di metà legislatura. Decisione di cui il presidente ha preso atto, confidando nella ricompensa del posto in giunta. E pareva davvero possibile un sodalizio, almeno a giudicare dalla legge approvata dal Consiglio regionale sulle compensazioni energetiche per gli impianti esistenti, frutto dell’intesa tra il più acceso oppositore, Amati, e l’assessore allo Sviluppo Economico – espressione di Con, il partito del presidente – Delli Noci.

Senonché dopo quella seduta di Consiglio e quel vertice di maggioranza, i telefoni non hanno squillato e ad Azione non è stato chiesto alcun incontro. Un silenzio poco gradito. Tant’è che una settimana dopo, il rapporto si è nuovamente complicato. “Chiediamo un atto di lealtà – è l’avvertimento del capogruppo di Azione in Consiglio Regionale, Ruggiero Mennea -, vogliamo che Amati resti alla presidenza della commissione Bilancio. Se la maggioranza compirà nei nostri confronti un atto così forte, quale quello di escluderci dalle commissioni, allora dovremo rivedere le nostre posizioni nei tavoli di Bari e Lecce”. Il messaggio, dunque, è chiarissimo: o si usa lo stesso linguaggio su tutti i tavoli, o saltano tutti gli accordi.

Che farà, dunque, Emiliano? Sebbene l’intenzione del presidente sia quella – e questo è un elemento fortemente caratterizzante del suo agire politico – di allargare quanto più possibile la coalizione, non è certo precipitoso. Perché i posti in giunta sono tutti assegnati, qualsiasi tessera del puzzle si tocchi, l’equilibrio si spezza. Anche laddove si dovesse decidere di sacrificare uno dei due assessorati affidati ai tecnici, Sanità e Ambiente. Perché quest’ultimo, ad esempio, è affidato a Sinistra Italiana che se pure non ha rappresentanza in Consiglio regionale, passa dal delicatissimo rapporto con Nichi Vendola. Oltretutto con i rimpasti Emiliano non ha feeling, “non ne ho mai fatti in vita mia” ha ricordato. Occorre tempo, dunque. Ammesso che tutti siano disposti a concederlo.