Nasce da Catanzaro l’inchiesta sulla presunta corruzione al ministero del Lavoro – indagati tra gli altri il patron della Salernitana e dell’Espresso Danilo Iervolino, il segretario generale della Cisal Francesco Cavallaro, il segretario generale del ministero del Lavoro Concetta Ferrari e Fabia D’Andrea, all’epoca dei fatti vice capo di Gabinetto del ministro del Lavoro – e rischia di morire a Napoli per una questione procedurale: l’inutilizzabilità delle intercettazioni provenienti dall’ufficio di procura calabrese. L’ha dichiarata il Tribunale del Riesame di Napoli in 21 pagine di motivazioni che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare. Un documento firmato dal presidente estensore Michele Mazzeo che in sintesi afferma la mancanza di connessione tra l’inchiesta “Maestrale-Carthago“, coordinata dall’allora procuratore Nicola Gratteri (da pochi giorni al vertice dell’ufficio inquirente di Napoli), che lo scorso maggio ha portato a un’ottantina di arresti in tutta Italia, e l’inchiesta “costola” aperta dai pm Sergio Ferrigno ed Henry John Woodcock sui fatti che la procura di Catanzaro ha ritenuto di competenza della procura di Napoli.

Una competenza ancorata nel capoluogo campano dal contratto di assunzione fittizia nell’università telematica Unipegaso (sede a Napoli) del figlio di Ferrari, Antonio Rossi, docente retribuito 68mila euro in tre anni. Fu firmato nell’aprile 2019, secondo l’accusa fu una delle regalie di Cavallaro alla dirigente del ministero, e l’assunzione sarebbe stata ottenuta grazie ai buoni uffici del sindacalista con i vertici di Unipegaso, all’epoca cuore dell’impero imprenditoriale di Iervolino. In una nota, Unipegaso precisa che si tratta di una vicenda precedente all’attuale gestione, per la quale è stata fornita piena collaborazione alla Procura, che ha qualificato l’ateneo telematico come parte lesa e si riserva di ricorrere in tutte le sedi a propria tutela. Il provvedimento del Riesame non entra nel merito della fondatezza delle accuse, ritenendo la questione dell’utilizzabilità delle intercettazioni “assorbente”. Sul tema si era però pronunciato il Gip di Napoli che ha respinto le richieste di arresto in carcere, Fabio Provvisier: 14 pagine che stabiliscono “l’integrazione dei gravi indizi di colpevolezza” nei confronti di tutti gli indagati tranne uno, Mario Rosario Miele, che provò a opporsi all’assunzione di Rossi.

Una considerazione che arriva a valle di un quadro indiziario ritenuto “granitico, ben oltre il necessario in questa fase, con la conseguenza che non è passibile di inquinamento”. Ed è questo uno dei motivi per i quali il giudice non ritiene necessario far scattare le manette. L’altro motivo è “l’insussistenza dell’attualità delle esigenze cautelari” riguardo a fatti avvenuti quattro anni prima. C’è un passaggio dell’ordinanza che merita di essere riportato per intero: “In particolare, i soggetti istituzionali, pur conservando i loro ruoli apicali nelle Pa di appartenenza, non rivestono più gli incarichi ricoperti alla data di commissione dei fatti, mentre gli indagati non istituzionali sono solo dei vergognosi delinquenti con il colletto bianco, stesso giudizio da esprimere per i dipendenti pubblici, ma comunque non sono dei criminali seriali, con la conseguenza che questo Gip ritiene altamente improbabile che essi reiterino condotte della stessa indole, essendo verosimilmente già particolarmente allarmati per quello che già hanno fatto, consapevoli di essere stati travolti dall’autorità giudiziaria, essendo l’indagine in fase conclusiva con i relativi avvisi, ed avendo fondato timore per le conseguenze che a breve subiranno dalla giustizia non cautelare”. È qualcosa di molto simile a una previsione di condanna, anche considerando il contestuale decreto di sequestro dei 68.000 euro guadagnati da Rossi. Una previsione che però il Riesame, confermando il rigetto delle richieste di arresto e cancellando l’utilizzabilità delle intercettazioni, ha ribaltato a favore degli indagati. Ormai tramutati dalla richiesta di rinvio a giudizio in imputati: il 24 novembre udienza preliminare davanti al Gup Enrico Campoli.

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