Un tappeto di crisantemi gialli per piangere la morte di un leader e la fine di un’epoca di prosperità. La Cina ha accolto con reverenza la scomparsa improvvisa dell’ex premier Li Keqiang, morto all’età di 68 anni per un arresto cardiaco lo scorso venerdì 27 ottobre. In questi giorni centinaia di cittadini cinesi si sono presentati di fronte ai luoghi simbolo della vita e della carriera di Li, lasciando mazzi di fiori e biglietti di cordoglio, mentre il governo cinese ha vietato commemorazioni ufficiali nelle università per timore che l’ondata di emotività popolare si trasformi in protesta. “È stato un leader molto apprezzato, autore di ambiziosi progetti di riforma economica della Cina dell’ultimo decennio ma anche premier degli ultimi, più difficili, anni”, spiega a ilfattoquotidiano.it Guido Samarani, professore ordinario di Storia e istituzioni dell’Asia all’Università Ca’ Foscari di Venezia e autore del libro La Cina Rossa: storia del Partito comunista cinese. “I cittadini cinesi hanno riconosciuto il suo apporto positivo, ma il suo ruolo si colloca a cavallo tra due fasi: da una ottimistica a una meno speranzosa per la Repubblica popolare”, continua.

Leader appartenente alla “quinta generazione” della nomenclatura cinese con un passato nella Lega della gioventù comunista, Li è stato premier dal 2013 fino a quando, lo scorso marzo, ha passato il testimone a Li Qiang, uno dei fedelissimi del presidente cinese Xi Jinping. Durante il suo mandato è stato spesso dipinto come un uomo dell‘establishment, portavoce di riforme del mercato libero e vicino agli interessi del privato, in contrapposizione alla leadership di Xi, che ha invece spinto verso la centralizzazione del potere e una maggiore presenza dello Stato nell’economia del Paese. “Non dobbiamo pensare che la morte di Li Keqiang segni la fine del riformismo”, avverte Samarani. “Dopotutto è stato al fianco di Xi per diversi anni e ha gestito insieme a lui periodi complessi per la società cinese. Tuttavia, se il primo quinquennio del suo premierato è stato caratterizzato da grandi progetti e ambizioni come quello della Via della Seta, gli ultimi anni hanno dimostrato che l’interdipendenza economica, a differenza di quello che si riteneva, non è più garanzia della possibilità di raffreddare le crisi geopolitiche e quelle interne”, continua.



E proprio sul fronte interno la morte di Li sembra aver fatto luce su alcune crepe tra il il Partito-Stato e i cittadini cinesi, che hanno vissuto l’improvvisa dipartita del leader riformista con uno spiccato senso di nostalgia per il passato prospero del Paese. “Il fiume Azzurro e il fiume Giallo non scorreranno all’indietro”, recitano molti dei biglietti commemorativi lasciati per l’ex premier, citando una frase con la quale lo scorso anno Li invitava la Cina a continuare sulla via dell’apertura economica per riprendersi dalla crisi pandemica. “L’economia non è tutto ma regge molto del consenso popolare in Cina”, spiega a proposito Samarani. Con il tempo della crescita a doppia cifra ormai alle spalle e una deflazione incombente, secondo l’accademico il governo cinese “è andato rivoltandosi verso se stesso”, con un ripiegamento parziale dato dal fatto che “è cambiata la visione all’interno del Paese, da una ottimistica a una pessimistica del futuro della Cina e del contesto internazionale”. Soprattutto, “se gli effetti positivi della crescita economica sul piano sociale e delle aspettative del benessere materiale vengono meno o non sono più dispensate come una volta, non può che nascere una frattura tra il Partito e una parte del popolo”, spiega.

Con la morte di Li, la Cina rimpiange quindi non solo un leader, ma gli anni di boom economico che hanno caratterizzato il Paese negli ultimi 30 anni. “Grazie per tutto quello che ci hai dato”, scrivono a proposito diversi utenti sul social media cinese Weibo. “Non dimenticheremo quanto grande è stata la Cina sotto la tua guida”, fa eco un altro commento. C’è poi chi ha utilizzato la morte dell’ex premier come pretesto per criticare il presidente Xi, ritenuto responsabile del declino economico cinese e accusato di mancata trasparenza durante il periodo delle restrizioni per il contenimento del Covid-19. Anche nel controllato ed edulcorato web cinese c’è chi ha portato questa critica al livello successivo, rammaricandosi che a morire non sia stato Xi e arrivando ad alludere che il decesso dell’ex premier sia stata orchestrata dal Partito. “È come è successo per Hu Yaobang” , scrive un utente facendo riferimento al leader del Pcc morto nel 1989, poco prima delle proteste di piazza Tiananmen. “È stata una vendetta politica”, commenta qualcun altro. Per sfuggire ai censori delle piattaforme social, alcuni utenti hanno invece condiviso sui propri profili la canzone “Peccato che non sia tu” della cantante malese Fish Leong, in un apparente riferimento al leader cinese. Successivamente anche la canzone è stata oscurata dalle principali piattaforme social.

Al netto del dissenso online, il Partito comunista si trova ad affrontare un momento delicato a livello di immagine sul piano interno, specie dopo gli scossoni nelle posizioni apicali che hanno visto la rimozione in successione del ministro degli Esteri, Qin Gang e di quello della Difesa, Li Shangfu. “Xi e il Partito tengono molto al consenso sociale e sanno, anche sulla base della lezione impartita dal fallimento dell’Unione sovietica, che è importante stabilire un rapporto tra governo e popolo dove il primo guida il secondo”, ricorda ancora Samarani. E conclude: “Bisognerà però vedere se la Cina sarà in grado di rilanciare la sua economia e la sua immagine, sia per gli investitori che per la diplomazia a livello internazionale”.

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