Non potevano che essere identificati come giornalisti: l’esercito di Tel Aviv ha quindi deliberatamente colpito il gruppo di sette persone nel raid che il 13 ottobre ha ucciso il reporter di Reuters Issam Abdallah. Ad arrivare a questa conclusione, mentre si cercano ulteriori elementi sui fatti avvenuti al confine tra Israele e Libano, è un’inchiesta indipendente svolta da Reporter Senza Frontiere che ha analizzato video e immagini del luogo, testimonianze dei presenti e la conformazione del territorio. Tutti gli elementi raccolti hanno portato l’organizzazione non governativa a stabilire che i due razzi dello Stato israeliano hanno colpito volontariamente la troupe.

È il 13 ottobre, sono passati sei giorni dall’attacco di Hamas nel sud di Israele che portato alla nuova escalation del conflitto israelo-palestinese. Mentre nella Striscia di Gaza i bombardamenti continuano senza sosta e in Cisgiordania le violenze crescono ogni giorno che passa, nel nord Tel Aviv deve guardarsi dagli attacchi e dalle possibili incursioni dei miliziani di Hezbollah, alleati di Hamas. È in questo contesto che va collocato l’episodio che porta alla morte di Abdallah: un gruppo di giornalisti di Reuters, al-Jazeera e Afp si sono spinti fino ad Alma el-Chaab, comune libanese al confine con Israele, per documentare il cosiddetto “fronte nord” del conflitto. Nelle ore in cui il Partito di Dio e lo ‘Stato ebraico’ si affrontano con lanci di razzi, si consuma l’uccisione del reporter e il ferimento dei suoi colleghi.

Ma ciò che è accaduto, spiega Rsf in un video, non è stato un errore. Da circa un’ora prima dell’attacco, avvenuto intorno alle 18, i giornalisti si trovavano già sul posto e tutti avevano preso le necessarie precauzioni per sottolineare di far parte della stampa internazionale: indossavano giubbotti antiproiettile ed elmetti con la scritta ‘press’, la stessa parola appariva a caratteri cubitali sul tetto della loro auto, si trovavano in una zona rialzata, collinare, ben visibile, senza mostrare alcun tentativo di nascondersi alla vista dei droni e dei velivoli israeliani da più di un’ora. Tutto il contrario di ciò che farebbero dei miliziani che mirano a sferrare un attacco.

E questo Israele non poteva non saperlo, spiega la ong. Dalle immagini girate dai reporter presenti sul posto insieme ad Abdallah e dalle loro testimonianze è infatti emerso che già più di un’ora prima dell’attacco, intorno alle 16.45, un elicottero di Tel Aviv aveva sorvolato l’area e li aveva certamente individuati e localizzati. È in quell’occasione che i militari avrebbero dovuto classificare il gruppo come una squadra di giornalisti. Come se non bastasse, ha raccontato Edmond Sassine, giornalista della televisione libanese LBCI che si trovava a un centinaio di metri dai suoi colleghi, un altro elicottero Apache israeliano ha sorvolato la scena pochi secondi prima del bombardamento.

Nonostante questo, pochi minuti dopo è partito l’attacco. E si è trattato, come spiega Rsf dopo aver svolto analisi balistiche indipendenti, di un attacco deliberato contro il convoglio dei reporter. Due colpi a distanza di 37-38 secondi l’uno dall’altro che hanno colpito lo stesso punto. “Gli spari sarebbero arrivati ​​da est rispetto al luogo in cui si trovavano i giornalisti – sostiene la ong -, dalla direzione del confine israeliano. Due colpi nello stesso punto in un lasso di tempo così breve (poco più di 30 secondi), dalla stessa direzione, indicano chiaramente la volontà di colpire un bersaglio preciso“.

Il primo colpo ha ucciso il reporter 37enne di Reuters, mentre il secondo, più potente, ha incendiato il veicolo di al-Jazeera, una Toyota bianca, accanto al quale si trovava il giornalista, ferendo i colleghi della tv panaraba, Carmen Joukhadar e Elie Brakhya, così come il loro collega dell’AFP, Dylan Collins. “L’urto ha spostato il veicolo di circa 90 gradi rispetto alla sua posizione originale”, spiegano.

Non si tratta del primo attacco d’Israele denunciato da giornalisti. Dopo lo scoppio del nuovo conflitto, il 9 ottobre, i giornalisti di al-Jazeera avevano subito un attacco simile nel villaggio di Dhayra, nel sud del Libano. Secondo le loro testimonianze, anche in quel caso un elicottero israeliano li aveva sorvolati prima che un missile cadesse accanto alla loro auto sulla quale appariva la scritta “press”. Senza dimenticare l’omicidio della reporter Shireen Abu Akleh che secondo diverse indagini indipendenti sarebbe stata uccisa da un cecchino israeliano durante scontri in Cisgiordania. Riguardo all’episodio del 13 ottobre, l’esercito israeliano si è dichiarato “dispiaciuto” e ha fatto sapere che “sta indagando”.

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Davvero Israele avvisa i civili di Gaza prima di bombardarne le abitazioni?

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