Ho atteso prima di intervenire sulla nota questione della nomina di Giuliano Amato da parte di Alberto Barachini, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega all’Informazione e all’Editoria, a presiedere una Commissione che si occuperà delle ripercussioni dell’intelligenza artificiale sull’editoria. Posso comprendere chi sostiene che si tratti di una scelta che può apparire singolare, per una serie di ragioni politiche che è inutile evidenziare.

Tuttavia, risulta profondamente inopportuno l’accostamento scenografico della figura di Giuliano Amato a quella del suo corrispettivo britannico Ian Hogarth – 38 anni, laureato a Cambridge in Computer Science con tesi in Machine Learning, con 50 investimenti in startup e a capo di un fondo da 250 milioni di euro, indicato come presidente in una “analoga” Commissione inglese che si interesserà di IA. Ritengo, infatti, che si tratti di un paragone impietoso e assolutamente sbagliato.

La stampa si è concentrata sul sensazionalismo, portando alla ribalta della cronaca una strana commistione di argomentazioni, che puntano ad attingere anche dal passato politico di Amato che, seppur ingombrante, non deve farci sfuggire la logica di questa scelta, ricaduta su un insigne giurista, chiamato ad occuparsi fondamentalmente di presidio dei principi democratici sanciti nella nostra Costituzione. Sì, perché è direttamente sulle nostre libertà fondamentali che si ripercuotono gli effetti derivati dalle possibili manipolazioni di questi sistemi e di questo dovrebbe occuparsi, in effetti, la Commissione presieduta (e quindi solo coordinata) da Giuliano Amato. Ricordiamo che proprio i sistemi di intelligenza artificiale generativa sono quelli che si celano dietro fake news e manipolazioni orchestrate alle spalle delle nostre vite digitali (e non solo).

Come ripeto da diversi anni (seguendo gli insegnamenti di maestri come il compianto Giovanni Buttarelli, ex Garante europeo per la protezione dei dati personali, prematuramente scomparso nel 2019) la nostra democrazia deve fare i conti con sistemi di intelligenza artificiale messi in campo dai grandi player, che godono di un potere non solo economico, ma anche politico-culturale immenso. Sono in grado di manipolare esistenze, decretando vita e morte (digitale) di cittadini-sudditi, in ecosistemi che, in un comodo far web di cui hanno approfittato per accumulare potere, veicolano a piacimento servizi ormai essenziali per la nostra sopravvivenza on line.
Risulta, dunque, indispensabile per arginare questo pericoloso strapotere, che mette sistematicamente a rischio le nostre democrazie nell’indifferenza generale, la consapevolezza politica e giuridica (non solo a livello europeo, ma in primis nazionale).

Insomma, possiamo contestare la scelta di Giuliano Amato per l’inopportunità di voler associare questa nomina di Presidente di tale commissione a una determinata connotazione politica, o per l’eventuale eccessivo compenso, o persino per l’età (seppur l’esperienza possa rilevarsi fondamentale per coordinare più teste in una Commissione), ma non per ragioni legate alla scelta di indicare un noto costituzionalista a presiedere una Commissione che deve occuparsi delle implicazioni dell’utilizzo di sistemi di IA sull’editoria. Perché proprio un profondo conoscitore della nostra Costituzione può e deve occuparsi di tutelare i diritti e le libertà di noi cittadini, messi sistematicamente a rischio da alcune involuzioni digitali, oggi alimentate anche da “nuovi algoritmi”.

A ben vedere, per una Commissione che deve occuparsi di democrazia, di fake news generate da sistemi di intelligenza artificiale generativa, di rischi di manipolazione, un giovane tecnologo pur geniale come Ian Hogarth, che ha le mani in pasta con questi strumenti e che con essi ha accumulato “vil denaro”, non sarebbe stata scelta intelligente (ovviamente scrivo di intelligenza umana). Infatti, in Inghilterra, Ian Hogarth si occuperà (correttamente) di strategie e investimenti per il suo Paese, non di rapporti dell’IA con l’editoria e l’informazione. E in Italia, peraltro, un’altra Commissione di 13 esperti voluta invece dal Sottosegretario Butti si occuperà di scelte strategiche per il nostro Paese e a presiederla ci sarà non un giurista, ma Gianluigi Greco, che invece è professore di informatica all’Università della Calabria e presidente di AixIA, l’associazione italiana per l’intelligenza artificiale. E su tutto questo non c’è stato specifico approfondimento, ma si è alimentata solo comoda, poco informata, confusione.

Purtroppo, il giornalismo in Italia (e non solo in Italia) tende ormai a cavalcare le nostre pance, i pruriti pelosi delle emozioni per acquisire like. E non approfondisce, perché conviene poco farlo, concentrando la nostra attenzione solo sull’unica cosa corretta di questa nomina: la scelta di un giurista preparato su questioni di diritto costituzionale.

A volte la lettura della realtà meriterebbe sempre un successivo, necessario approfondimento da parte nostra. Ma non ne abbiamo più il tempo e la cronica mancanza di tempo oggi mette a dura prova certi modelli su cui si fondano le nostre democrazie. Peraltro, queste Commissioni o Comitati (e anch’io – come noto – faccio parte di un Comitato di Esperti presieduto dal prof. Donato Limone e voluto sempre dal sottosegretario Butti per definire le strategie di trasformazione digitale delle PA) non hanno bacchette magiche, né poteri diretti e attuativi. Servono solo per fornire pareri e indirizzare una Politica, spesso disorientata da queste tematiche così complesse e delicate. E anche i Comitati o le Commissioni hanno bisogno di tempo per poter fare qualcosa. Un grande limite in una società che pretende tutto e subito, con soluzioni immediate. Ci meriteremmo davvero una bella intelligenza artificiale a dettare ogni nostro movimento (anche d’opinione).

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