Una testimonianza importantissima è attesa il prossimo 27 ottobre. Si tratta del fratello di Saman Abbas, la 18enne pakistana eliminata secondo i pm dalla famiglia, perché si opponeva a un matrimonio combinato. E proprio a pochi giorni dall’audizione davanti ai giudici della Corte d’assise. La Procura di Reggio Emilia indaga su pressioni e minacce dal Pakistan sul ragazzo testimone chiave dell’accusa contro i familiari imputati, affinché ritratti le dichiarazioni fatte o eviti di testimoniare in processo. Il procuratore Gaetano Calogero Paci ha aperto un fascicolo contro ignoti e i carabinieri hanno acquisito copia di messaggi, forniti dallo stesso giovane. Dagli accertamenti emerge che ha mantenuto contatti con la madre e con familiari in Pakistan che, soprattutto quando c’è stata l’estradizione del padre, hanno portato avanti le pressioni. Il ragazzo, nel frattempo divenuto maggiorenne, con le sue parole inchioda i cinque familiari imputati, in particolare lo zio Danish Hasnain, accusandoli di aver ucciso la 18enne di Novellara, la notte tra il 30 aprile e il primo maggio 2021.

Intercettato nei giorni successivi alla scomparsa della ragazza (poi ritrovata sepolta in un casolare vicino a casa un anno e mezzo dopo) diceva quello che aveva già riferito ai carabinieri e che avrebbe ripetuto in incidente probatorio. In una telefonata del 28 maggio, con una zia, il ragazzo affermò: “Da oggi non parlerò più con tuo fratello Danish e non parlerò nemmeno con quel cane che ha i baffi e più nemmeno con Irfan, non parlerò più neanche con gli altri due che stanno con loro perché ha fatto tutto lo zio, ha fatto tutto lo zio“. La zia rispose: “Stai zitto”. Ma il giovane proseguì: “Sì ma io a questi qui gli darò una lezione che si ricorderanno tutta la vita. Se non è rimasta viva mia sorella, allora neanche loro hanno diritto di vivere. O mi ucciderò oppure farò qualcosa a questi“. In un’altra conversazione, del giorno prima, sempre il fratello parlava con una conoscente del tema: “Mio zio ha ucciso una persona, capito?”. “In Pakistan?”, domandò lei. Risposta: “Novellara”.

Le trascrizioni dei dialoghi, depositate nei giorni scorsi agli atti del processo in Corte di assise a carico del padre, Shabbar Abbas, della madre, Nazia Shaheen (ancora irreperibile), dello zio Danish e dei cugini Nomanhulaq Nomanhulaq e Ikram Ijaz, restituiscono anche la sofferenza e la disperazione del ragazzo, all’epoca sedicenne. Come il 5 giugno, parlando con la madre, fuggita in Pakistan: “Vanno all’inferno tutti, se non c’è più la mia sorella allora non c’è più nessuno. Stai in silenzio“. In un’altra telefonata, del 14 giugno, il padre invece sembra tentare di convincere il figlio ad addossare la colpa ad un altro parente, diverso dai cinque imputati: “Tu – rivolto al ragazzo – devi dire che Danish e gli altri non hanno nessuna colpa, lui (l’altro parente, ndr) è venuto a casa nostra e ha detto che ci penso io ad ammazzarla, tu così devi dire… adesso dobbiamo incastrare a questo qui”. Il giorno, dopo la madre sembra invece provare a dire al ragazzo che Saman non era morta: “Ascoltami, la tua sorella è qui. Dio farà il bene e verrà ritrovata anche lei. Lei tornerà”. Ma il ragazzo: “Se non c’è più la mia sorella non dovrò vivere nemmeno io… Lei non c’è, non dire le cose sbagliate”.

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