Il gip di Caltanissetta Santi Bologna, dopo l’udienza camerale del 5 ottobre scorso, ha deciso di far proseguire le indagini e di non accogliere la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura a ottobre 2022 nei confronti di Maurizio Avola e di altri esponenti di primo piano della mafia catanese per le stragi del 1992 nelle quali furono uccisi i magistrati Giovanni Falcone e Paolo Borsellino con gli agenti delle due scorte.

Avola, collaboratore di giustizia uscito dal programma di protezione, si era autoaccusato della strage di via D’Amelio e aveva tirato in ballo anche i boss di Cosa Nostra catanese Aldo Ercolano e Marcello D’Agata, detenuti che non si sono mai “pentiti” e comunque si sono professati sempre innocenti, creduti sul punto dai pm secondo i quali Avola avrebbe mentito calunniando e auto-calunniandosi. Il gip ha inoltre disposto nuovi accertamenti sul box di via Villasevaglios e sull’appartamento di via Juvara indicati da Maurizio Avola rispettivamente come luogo dove sarebbe stata custodita la Fiat 126 e luogo dove avrebbe dormito il killer catanese prima della strage a Palermo.

Ora il gip accoglie in parte le richieste dell’avvocato di Avola, Ugo Colonna, e chiede ai pm di fare una serie di indagini precise all’esito delle quali, trascorso il termine dei sei mesi, il gip stesso potrà decidere comunque per l’archiviazione o anche per l’imputazione coatta.

La versione di Avola era divenuta famosa grazie al libro di Michele Santoro Nient’altro che la verità uscito per Feltrinelli nell’aprile 2021 e pubblicizzato con una trasmissione de La7 condotta da Enrico Mentana, con ospite lo stesso Santoro insieme al compianto Andrea Purgatori.

La Procura di Caltanissetta, allora diretta da Gabriele Paci, aveva addirittura emanato un comunicato stampa per smentire le affermazioni del collaboratore di giustizia catanese, fatte anche ai pm, e così divenute di pubblico dominio. Il punto centrale era la circostanza, ritenuta dirimente per la Procura nissena, che nella mattinata precedente alla strage Avola era stato fermato a Catania dalla Polizia con un braccio ingessato nonostante, notava la Procura, avesse dichiarato che già il 17 luglio era andato da Catania a Palermo per la fase preparatoria dell’attentato. Avola si è difeso sostenendo di essersi fatto togliere il gesso da un paramedico di Catania e che non aveva tanto dolore e quindi poteva aver fatto quel che diceva (come preparare l’auto per l’attentato o guidare una macchina) perché era destro mentre il polso rotto era il sinistro.

Ora il gip torna su quel punto e dispone un’indagine proprio sulla natura della frattura del braccio di Avola del 1992, dicendosi non convinto delle conclusioni della Procura. Nell’ottobre del 2022 il procuratore capo di Caltanissetta attuale, Salvatore De Luca, aveva firmato insieme ai sostituti della Direzione nazionale antimafia Domenico Gozzo e Francesco Del Bene, più i sostituti procuratori nisseni Nadia Caruso e Marcello Pacifico, una richiesta di archiviazione che sembrava chiudere la questione così: “L’analisi complessiva delle dichiarazioni rese da Avola Maurizio fa ritenere assai probabile che le stesse, oltre ad essere certamente non veritiere, possano essere state eterodirette da parte di soggetti, non identificati sulla scorta delle indagini in corso interessati a porre in essere l’ennesimo depistaggio in relazione all’accertamento della verità dei fatti sulla strage di via D’Amelio”.

In sostanza i pm davano per scontata la menzogna di Avola. Ritenevano probabile il depistaggio e proprio per capire se dietro Avola ci fosse qualcuno interessato al depistaggio avevano disposto intercettazioni anche su Michele Santoro e sul suo collaboratore Guido Ruotolo. Ovviamente solo per carpire informazioni su altri soggetti ma comunque con modalità pervasive: nei confronti di Guido Ruotolo si usò persino il captatore informatico, cioé un trojan che trasforma il cellulare del giornalista in una microspia attivabile da remoto dalla Dia.

I pm nisseni erano particolarmente sospettosi perché notavano che le dichiarazioni di Avola sembravano talvolta un “tappabuchi” delle finestre lasciate aperte sui mondi esterni a Cosa Nostra nelle ricostruzioni fatte dalle sentenze sulla base soprattutto delle rivelazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza.

Scrivevano i pm “proprio prendendo le mosse dalle dichiarazione dello Spatuzza, non è certo un caso che Maurizio Avola con le proprie dichiarazioni miri proprio “a coprire” quei dettagli non conosciuti dallo Spatuzza ed in relazione ai quali si sta ancora indagando in merito a possibili presenze esterne nelle fasi organizzative ed esecutive dell’attentato di via D’Amelio”.

In particolare “i pezzi mancanti” o i “mister x” ai quali bisogna tuttora dare un nome restano, per esempio, l’uomo ignoto non appartenente alla mafia presente nel garage dove si imbottiva di esplosivo la Fiat 126 e il soggetto che fece detonare la carica in via D’Amelio probabilmente spingendo la leva di un telecomando mentre il magistrato citofonava alla mamma domenica 19 luglio 1992.

Scrivevano i pm sul punto nel 2022: “Le ricostruzioni giudiziarie sin ora operate non hanno consentito, infatti, di individuare chi ebbe ad imbottire la Fiat 126 di esplosivo ed Avola prontamente fornisce la soluzione ponendosi quale protagonista sulla scena e affermando di essere stato lui. Ancora non si è giunti alla identificazione dello sconosciuto personaggio presente nel garage di via Villasevaglios, ma l’immancabile Avola risolve anche questo mistero dicendo che si trattava di sé stesso o di Aldo Ercolano, soggetto non noto allo Spatuzza non essendo questi all’epoca un uomo d’onore. Non si è mai potuto accertare chi materialmente ebbe ad azionare il congegno di detonazione dell’ordigno, ma ancora una volta ci soccorre l’Avola dicendo che era stato lui a dare il segnale con un cenno del capo a Graviano Giuseppe che si occupò di schiacciare il bottone del telecomando per far detonare l’ordigno. Le dichiarazioni di Maurizio Avola non sono, dunque, semplicemente false, come accertato in base alla gran mole di riscontri negativi, ma sono senza dubbio ispirate a voler creare una sorta di normalizzazione in ordine alla ricostruzione di uno dei più controversi episodi della storia giudiziaria italiana, ponendo fine ad ogni possibile campo di ulteriore investigazione relativo al coinvolgimento di soggetti esterni a cosa nostra nella realizzazione della strage di via D’Amelio”.

Il gip Santi Bologna non condivide questa impostazione così negativa su Avola. Lascia il giudizio sospeso chiedendo nuove indagini e intanto indica anche altre questioni mai chiarite nei decenni scorsi dalla Procura di Caltanissetta. In particolare invita a riconsiderare la questione dell’esplosivo usato in via D’Amelio. Il gip dubita delle conclusioni delle prime sentenze che erano inficiate dalle bugie del falso pentito Vincenzo Scarantino e scrive: “Ci si deve domandare se oggi – dopo il disvelamento della falsità del racconto sull’imbottitura della 126 nel garage di Giuseppe Orofino – può ritenersi ancora valida la tesi (sposata nella consulenza tecnica all’epoca svolta e trasfusa in accertamenti passati in giudicato) che la Fiat 126 di Pietrina Valenti fosse imbottita di 90 chili di esplosivo, stipati nel portabagagli anteriore dell’auto. E ciò ove si rifletta – prosegue – sul fatto che non è mai stato compiuto alcun esperimento giudiziale volto a verificare il comportamento su strada della piccola utilitaria Fiat caricata di un siffatto peso sull’avantreno”. Insomma su questo punto, non secondario, secondo il gip, non c’è nulla di sicuro, nonostante le sentenze passate in giudicato.

Comunque il gip non accorda alla difesa di Avola una nuova consulenza sull’esplosivo perché gli sembra ormai inutile mentre più interessante sarebbe riascoltare Giovanni Brusca sui telecomandi usati nelle stragi. Perché? “Perché la coppia di telecomandi trovati a casa di Brusca è della stessa marca (Telcoma) e tipo (cambiano solo le versioni legate all’anno di fabbricazione) di quello adoperato in via d’Amelio”. Il gip però non impone ai pm di sentire Brusca perché in questa indagine su Avola c’entra poco. Chissà però, magari in un’altra inchiesta, i magistrati potranno accogliere il suo input.

Il gip nel suo provvedimento chiede nuove indagini ai pm lasciandosi aperte tutte le porte: “Questa ordinanza ha valore meramente interlocutorio essendo finalizzata esclusivamente ad ottenere una maggiore completezza della piattaforma probatoria”. Si comprende che non ha gradito la fretta dei pm nel giudicare e comunicare prima di avere raccolte tutte le prove per lui utili: “Prima di allora, qualunque anticipazione procedimentale (e soprattutto) extraprocedimentale sull’attendibilità del racconto di Maurizio Avola si tradurrebbe – scrive Bologna – in un modo non corretto di intendere il rapporto fra il tempo e la giurisdizione”.

Prima di dare “i compiti a casa” ai pm, prima di entrare cioè nei singoli punti da approfondire, il gip fa un discorso generale sull’attendibilità di Avola. Come noto l’ex killer catanese ha ammesso reati commessi negli anni Novanta quando già era un collaboratore. Di qui per il gip non si possono trarre però conclusioni negative sulla sua attendibilità. Il gip riporta un lungo passo della sentenza di primo grado del processo Borsellino ter che risale a dopo che Avola era uscito dal programma di collaborazione. In quella sentenza i giudici ritenevano che i reati compiuti dopo la collaborazione “non possono automaticamente screditare le sue dichiarazioni”.

Poi il gip scrive che Avola da un lato “non è mai stato condannato per calunnia/autocalunnia” e inoltre “ha fruito in più di dieci occasioni dell’attenuante speciale di cui all’art. 416 bis.l. c.p., anche in epoca successiva alla sua fuoriuscita dal programma di protezione”. Dopo aver segnato questi punti a favore di Avola, il gip chiude: “Tali dati impongono che la valutazione della sua credibilità e dell’attendibilità del suo racconto – soprattutto in relazione alla strage di via D’Amelio – debbano essere quanto più integrali possibili”.

Cosa manca al fascicolo delle indagini dei pm di Caltanissetta su Avola e compagni per il gip? Per esempio mancano i colloqui investigativi di Avola. Quei verbali fatti come confidente e non come testimone per i pm non sono utilizzabili processualmente ma il gip ribadisce quel che aveva detto loro in udienza il 5 ottobre: vuole che siano inclusi nel fascicolo di indagine perché “sono tuttavia certamente utilizzabili come prova del fatto storico”.

Poi il gip Bologna esamina tutte le nuove indagini chieste con la sua memoria di 94 pagine dal difensore di Maurizio Avola, l’avvocato Ugo Colonna. In particolare anche lui ritiene che la questione del braccio rotto di Avola non sia affatto chiusa. Per capire se la frattura refertata il 7 luglio 1992 all’Ospedale Cannizzaro di Catania fosse compatibile con quel che Avola dice ai pm di aver fatto prima della strage nei giorni 17-18 luglio 1992, scrive il gip “si ritiene necessario (provare a) procedere ad accertamento medico-legale (affidato preferibilmente ad un collegio composto da un medico legale, un medico ortopedico e un esperto in biomeccanica) sulla persona di Maurizio Avola che, anche all’esito di visita sulla persona e svolgimento di esami strumentali (per es. Tac), possa chiarire: a) se la frattura fosse o meno composta; b) se alla luce tipo di frattura riportata da Maurizio Avola il 7 luglio 1992, fosse possibile, anche se non corretta dal punto di vista sanitario, dopo qualche giorno la eliminazione del gesso applicato al braccio sinistro di Avola al momento delle dimissioni dall’Ospedale Cannizzaro il 7 luglio 1992”. I pm dovranno nominare il collegio di tre periti che provino a capire se Avola, nonostante la frattura diagnosticata, potesse togliersi il gesso fisso e partecipare con un gesso mobile, come da lui detto ai pm, alla strage eseguita appena 12 giorni dopo.

Il secondo “compito” che il gip assegna ai pm è di tipo addirittura internazionale: “Si ritiene poi necessario procedere ad accertamenti volti a verificare il concorso di Cosa Nostra americana (o ambienti alla stessa legata) nella strategia stragista del 1992”. Avola aveva raccontato di un progetto di attentato che nel 1992 Cosa Nostra americana aveva ideato e Cosa Nostra catanese avrebbe dovuto eseguire, ai danni dell’allora governatore di New York Mario Cuomo durante la sua visita programmata in Sicilia. Per il gip “può essere rilevante capire anche attivando i mezzi di cooperazione giudiziaria in materia penale tra Italia e Usa – se in effetti, nel 1992 sia avvenuta una visita in Italia (e specifìcatamente in Sicilia) da parte del governatore Mario Cuomo o, meglio, se la stessa era stata programmata e poi cancellata unitamente alle eventuali ragioni del venir meno di tale visita”.

Il gip non accoglie invece le richieste della difesa di Avola di procedere a un confronto tra Maurizio Avola e Aldo Ercolano perché quest’ultimo non è un pentito e non ha mai dato mostra di voler parlare. Ora la Procura di Caltanissetta avrà sei mesi di tempo per fare le indagini richieste. Solo dopo si potrà dare per scontato che Avola è un mentitore e magari porsi la domanda su un eventuale ennesimo depistaggio nelle indagini sulla strage di via D’Amelio e su chi siano i soggetti interessati a portarlo avanti.

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