“Vogliono mandare aiuti umanitari, senza proteggere i convogli attraverso un cessate il fuoco: è una posizione strana quella delle Nazioni Unite e di altri paesi della comunità internazionale”. Per Ayman Salama, professore di diritto internazionale, sono molti i punti che hanno portato al fallimento della Conferenza di Pace al Cairo, organizzata per trovare una soluzione alla crisi di Gaza, alla quale ha partecipato anche la premier Giorgia Meloni. “ Il mancato raggiungimento di una tregua – spiega Salama parlando al quotidiano al Araby el Jadeed – e della creazione di corridoi umanitari protetti dagli osservatori internazionali, mette a serio rischio la sicurezza dei convogli di aiuti umanitari”.

Il Summit svoltosi ieri, organizzato tramite la mediazione del presidente egiziano al Sisi, partiva con l’auspicio, diffuso attraverso un comunicato, di “costruire un consenso internazionale per chiedere la fine della guerra in corso, che ha provocato migliaia di vittime civili sia sul lato palestinese che su quello israeliano”. E, si legge nella nota diffusa dal Cairo all’apertura della conferenza, “i partecipanti al vertice lanciano un appello globale che sottolinea l’importanza di rivalutare l’approccio internazionale nell’affrontare la questione palestinese”. Ed auspicando una soluzione che porti “all’avvio di un reale e serio processo di pace per la creazione di uno Stato palestinese indipendente sui confini del giugno 1967, con Gerusalemme Est come capitale”.

Secondo altri analisti, a portare al fallimento della conferenza sono state le divisioni fra i paesi arabi. In particolare, spiega Ammar Fayd, ricercatore di scienze politiche, interpellato dal quotidiano arabo, “la guerra in sé non era davvero alla base dell’incontro, ma, piuttosto, era il rafforzamento della Turchia e dell’Egitto come garanti e mediatori internazionali”. Questo a discapito del Qatar che, proprio a Doha, ospita la dirigenza di Hamas, e che insieme al Cairo, sta tentando di trasformarsi nel mediatore internazionale fra Hamas, Israele e la comunità internazionale.

Questa concorrenza fra le due capitali arabe si è intensificata nelle ultime ore successive al summit. Da una parte, l’Egitto ha aperto il valico di Rafah, gestendo di fatto gli aiuti internazionali. Dall’altra, grazie alla mediazione del Qatar, sono state liberate due donne Judith Raanan, di 59 anni, e sua figlia Natalie, di 17 anni, dopo due settimane di prigionia.

Per il quotidiano al Quds al Araby, vicino al governo palestinese di Abu Mazen, il rilascio delle due donne sarebbe servito ad Hamas per “migliorare la sua immagine a livello internazionale e ad affermare il ruolo predominante del Qatar come mediatore, a discapito dell’Egitto”. Inoltre, “il rilascio avrebbe rimandato l’offensiva di terra” che gli israeliani stanno posticipando ormai da giorni.

Sempre nelle stesse ore, altri ostaggi nelle mani dell’organizzazione islamica che controlla Gaza sarebbero stati pronti ad essere rilasciati. Abu Obeida, portavoce delle Brigate Ezzedin al-Kassam, aveva diffuso la notizia che Hamas era decisa a liberare altri due sequestrati per “motivi umanitari“, ma che Israele avrebbe “rifiutato”. Il portavoce, su Telegram, ha detto di “aver informato il Qatar della loro decisione e che non avrebbero chiesto nulla in cambio”. Nessuna risposta ufficiale da Israele, se con quella della stampa: “E’ solo guerra psicologica”.

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