La Tunisia ha restituito 60 milioni di euro che l’Unione aveva inviato per l’attuazione del Memorandum d’intesa siglato a luglio. E’ il nuovo episodio della saga sull’accordo tra Unione europea e Tunisia che vede al centro l’immigrazione. Ed è l’ennesimo schiaffo a quanti, partendo dal governo Meloni, avevano cantato vittoria, certi di bloccare gli sbarchi dei migranti che in maggioranza partono dalle coste tunisine. Ma c’è di più: stavolta Tunisi minaccia l’Ue di rivelare “verità che non sono nel vostro interesse”. Le parole sono del ministro degli Esteri Nabil Ammar, che accusa l’Unione di aver usato fondi promessi per aiutare il Paese dopo la pandemia e mai inviati. E di pretendere unilateralmente di destinarli all’attuazione del Memorandum. Dall’annuncio dell’accordo i rapporti con Tunisi non sono mai stati così tesi. Al palo restano anche i rapporti col Fondo Monetario Internazionale, mentre nuovi accordi vengono stretti con la Russia e più in general i Brics si confermano la possibile un’alternativa ai rapporti con l’Ue, non solo in Tunisia.

Il Memorandum aveva previsto un iniziale stanziamento di 105 milioni di euro per la gestione dei flussi migratori, oltre ad altri 150 milioni per sostenere il bilancio tunisino, alle prese con una grave crisi economica. Ma nonostante Unione e Italia in particolare già rivendessero l’accordo come una vittoria sul problema dell’immigrazione irregolare, a settembre Tunisi non aveva ancora visto un soldo. Né gli sbarchi sulle coste italiane si erano ridotti, anzi. Così a fine settembre la Commissione Ue annuncia di essere pronta a inviare i primi soldi “a sostegno dell’attuazione del Memorandum d’intesa”. Il 3 ottobre l’Ue bonifica 127 milioni di euro, ma solo 42 fanno davvero parte dell’accordo siglato a luglio. Gli altri sono stanziamenti già previsti, compresi i 60 milioni appena restituiti da Tunisi e parte di aiuti alla Tunisia per rialzarsi dopo la pandemia di Covid. Un espediente? Il Memorandum firmato dalla presidente della Commissione Ursula Von der Leyen non è piaciuto a Bruxelles, dove è stato duramente criticato, non solo dalle sinistre, con l’accusa di voler consegnare un assegno in bianco al regime del presidente Kais Saied. Ma è proprio lui a dire che “la Tunisia non accetta l’elemosina“, anticipando la restituzione dei 60 milioni.

Insomma, il giochino dei fondi non è andato giù. “Questi soldi risalgono ai tempi del Covid-19 e non ci erano arrivati, oggi li stanno sborsando per il 2023 e il sostegno al bilancio dello Stato (capitolo del Memorandum, ndr), quindi li abbiamo restituiti e li abbiamo messi in guardia contro la politica di inganno e la pubblicazione di corrispondenza confidenziale”, ha dichiarato il ministro Ammar. Una risposta, scrive La Stampa che ne ha dato notizia, “alla mossa del commissario europeo Oliver Varhelyi, che una settimana fa aveva pubblicato sul social network «X» la lettera ufficiale con la quale il governo tunisino aveva comunicato il numero di conto sul quale versare la somma”. E lanciato la sfida: “Se non volete i soldi, restituiteli”. E così è stato, il 9 ottobre scorso. “Se ritornate alla carica, ritorneremo anche noi rivelando verità che non sono nel vostro interesse. Non imploriamo nessuno e il mondo non si ferma davanti all’uno o all’altro partner: noi non abbiamo iniziato guerre e non abbiamo gettato l’umanità in guerre mondiali come avete fatto voi, per noi la sovranità non è armi e mezzi ma dignità e forza per dire la verità forte e chiara”, ha aggiunto Ammar in un’intervista appena pubblicata dal quotidiano arabo AI Chorouk.

Appena prima del bonifico tunisino, il 9 ottobre la portavoce della Commissione europea Ana Pisonero aveva dichiarato di non aver ricevuto “alcuna restituzione” dei fondi erogati alla Tunisia. “E non ho nessuna notizia sul fatto che abbiamo sospeso formalmente o informalmente il memorandum d’intesa”, aveva aggiunto il portavoce capo Eric Mamer. Ma adesso le cose cambiano decisamente, precipitando le cose dopo i fatti delle settimane scorse, quando Saied aveva respinto la delegazione di parlamentari europei della commissione Affari Esteri e rinviato a data da destinarsi l’incontro con i funzionari Ue proprio sull’attuazione del Memorandum. Non che la Tunisia non abbia bisogno di soldi, anzi. Ma gli accordi con l’Unione europea non sono più l’unica strada e questo pesa nei rapporti tra Tunisi e i governi europei. Le intese con l’Ue sono sempre vincolate alla questione dei migranti e Saied ha sempre detto che la Tunisia “non è la guardia di frontiera dell’Europa e non accetterà di diventare un paese rifugio”. Lo stesso dialogo con il FMI per un prestito da oltre due miliardi che aiuti l’economia tunisina a rialzarsi è incagliato perché Saied non considera le riforme pretese dal Fondo una soluzione praticabile per la popolazione.

Al contrario, ricorda La Stampa, “il 25 settembre scorso lo stesso Ammar è volato a Mosca per incontrare il suo omologo Sergey Lavrov, con il quale ha firmato un accordo commerciale”. Uno scambio in base al quale la Russia manderà i suoi turisti in Tunisia e questa importerà grano russo. Non solo: Tunisi riceve da tempo fondi dall’Algeria, anch’essa legata a Mosca da stretti rapporti. Tunisi sembra valutare una scelta fatta già da tanti Paesi, entrati nell’allenaza dei Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica), come di recente Argentina, Etiopia, Iran, Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Canali alternativi anche per trovare risorse senza le condizioni imposte dai Paesi europei che mettono sempre sul tavolo l’immigrazione, dall’autunno scorso proveniente soprattuto dalle coste tunisine. La presenza occidentale è in crisi in molti Paesi africani e il golpe in Niger conferma l’evoluzione nella cintura del Sahel, con l’Algeria che si è opposta all’intervento militare proposto dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Ecowas). Se mai il Memorandum tanto caro al governo Meloni sarà attuato, l’Ue dovrà prepararsi a offrire condizioni più vantaggiose.

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