Un giorno forse la lista di attesa di trapianto di organi per gli 8mila pazienti, solo in Italia, potrebbe ridursi. Sarà il giorno in cui i trapianti dagli organi di animali agli esseri umani (xenotrapianti) saranno sicuri ed efficaci e saranno communente utilizzati nella pratica clinica. Fino ad allora, sono ancora molti gli interrogativi da risolvere e la strada da percorrere dagli scienziati.

Un passo in avanti, è rappresentato dalla nuova ricerca pubblicata sulla rivista Nature che ha descritto un trapianto di reni da maiali geneticamente modificati in primati non umani ovvero una scimmia. Uno dei principali candidati per diventare donatori in questo campo sono i maiali, ma ci sono ostacoli significativi da superare prima che questo approccio possa essere considerato clinicamente valido. Tra questi ostacoli ci sono il rifiuto degli organi trapiantati e il rischio di zoonosi, ovvero la trasmissione di virus animali agli esseri umani. Basti pensare al caso del Signor David Bennet il paziente della School of Medicine dell’University of Maryland morto a due mesi dal trapianto di cuore da un maiale forse per aver contratto un virus suino. Il caso aveva mostrato un iniziale successo ed entusiasmo a livello medico e non solo. Il retrovirus endogeno suino era stato individuato come un rischio per la trasmissione nell’uomo.

Inoltre, studi precedenti avevano identificato già altri ostacoli allo sviluppo della tecnica degli xenotrapianti: tre antigeni glicanici espressi nei maiali che vengono riconosciuti dagli anticorpi umani e attaccati, portando al rifiuto dell’organo trapiantato. Il nuovo studio condotto da Wenning Qin e colleghi della Scuola di Medicina della Università del Maryland di Baltimora contribuisce ad affrontare questi problemi. Gli scienziati hanno apportato 69 modifiche genomiche al Dna di un maiale donatore, un maiale miniatura Yucatan, eliminando i tre antigeni glicanici pensati per indurre il rifiuto, sovraesprimendo sette geni umani (per ridurre l’ostilità del sistema immunitario del primate) e inattivando tutte le copie del gene del retrovirus suino.

Questi reni trapiantati hanno dimostrato una sopravvivenza notevolmente più lunga rispetto a quelli con solo le modifiche agli antigeni glicanici (176 giorni contro 24 giorni), suggerendo che l’espressione di questi geni umani offra una certa protezione contro il rifiuto. Combinato con il trattamento immunosoppressivo, il trapianto ha garantito una sopravvivenza a lungo termine nei primati fino a 758 giorni. Questi risultati sono promettenti e rappresentano un importante passo avanti verso la xenotrapiantologia umana. Gli autori dello studio concludono che questa tecnica potrebbe avvicinarsi sempre di più ai test clinici e potrebbe rappresentare una speranza concreta per il futuro dei trapianti di organi umani. Tuttavia, è importante sottolineare che ulteriori ricerche e sperimentazioni sono necessarie prima di poter considerare i reni di maiali geneticamente modificati come una soluzione clinica definitiva per la carenza di organi umani.

Lo studio

Lella Simone

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