“L’intero mondo musulmano si unirà al diluvio” contro Stati Uniti e Israele. Le parole del capo del Consiglio esecutivo del partito sciita libanese Hezbollah, Hashem Safi al-Din, raccontano di un Islam pronto a impugnare il fucile per sostenere Hamas nell’attacco sferrato contro lo ‘Stato Ebraico’ dalla Striscia di Gaza. Un’eventualità che darebbe il via a un conflitto allargato in tutto il Medio Oriente, con il nuovo coinvolgimento delle grandi potenze mondiali. Ma la situazione è tutt’altro che omogenea nei Paesi musulmani: se dalla cosiddetta Mezzaluna sciita (Iran, Hezbollah e Siria) arriva pieno sostegno all’azione dell’organizzazione islamista che governa la Striscia, più votate alla ricerca di un cessate il fuoco sembrano essere le potenze del Golfo, con l’unica eccezione del Qatar, molte delle quali coinvolte già durante l’amministrazione Trump in un processo di distensione con Tel Aviv. Una su tutte: l’Arabia Saudita.

La questione palestinese da sempre scardina qualsiasi equilibrio relativo alla contrapposizione tra Islam sunnita e sciita. E le dichiarazioni delle ore e dei giorni seguiti all’offensiva di Hamas ne sono una palese dimostrazione. Quella al potere a Gaza è un’organizzazione sunnita che impone una visione oscurantista dell’Islam politico, ma a sostenerla, come detto, in queste ore sono soprattutto governi e organizzazioni sciite. Due esempi su tutti: l’Iran degli ayatollah e, appunto, il Partito di Dio libanese.

Questo perché con Israele ormai da anni, prima con i cosiddetti Accordi di Abramo promossi dal cognato e consigliere dell’ex presidente americano Donald Trump, Jared Kushner, e infine con il tentativo di accordo mediato dalla Casa Bianca per un disgelo tra Riyad e Tel Aviv, è in corso un processo diplomatico che ha coinvolto a diversi gradi alcuni dei più importanti Paesi arabi. E proprio l’Arabia Saudita ha deciso di non assumere una posizione netta in difesa dell’una o dell’altra parte, ma rimane in attesa di capire eventuali sviluppi. Da un lato c’è la necessità di non tradire, almeno non palesemente, la causa palestinese della quale, nel corso dei decenni, si è sempre considerata uno dei principali sostenitori. Dall’altro sa bene che una normalizzazione con Israele sarebbe un enorme passo in avanti nel processo di accettazione del Paese a livello internazionale, primo obiettivo della Vision 2030 del principe ereditario Mohammad bin Salman. Senza dimenticare che, secondo alcune indiscrezioni smentite fino ad ora da Teheran, dietro all’offensiva potrebbe esserci il sostegno proprio della Repubblica Islamica dell’Iran, acerrimo nemico della monarchia degli al-Saud.

Anche la Turchia, che dopo il disimpegno dei Paesi mediorientali da anni si propone come il grande difensore della causa palestinese, si rende conto di quanto sia sconveniente per un membro di primo livello della Nato mostrare il proprio supporto all’azione di Hamas. Tanto che anche il presidente Recep Tayyip Erdoğan, di solito non avaro di dichiarazioni forti, si è limitato a chiedere “moderazione”, proponendosi come mediatore per arrivare a un rapido cessate il fuoco. Stesso ruolo assunto in occasione delle ultime tensioni dall‘Egitto di Abdel Fattah al-Sisi: ed è proprio a Il Cairo che le cancellerie mondiali si stanno rivolgendo per chiedere di avviare un’azione diplomatica tra le parti. Lo stesso vale per la Giordania, dato che il regno hashemita è custode dei luoghi sacri di Gerusalemme.

Come detto, però, non tutti i Paesi musulmani sono schierati su posizioni attendiste o moderate. Uno su tutti l’Iran che, a detta del portavoce di Hamas, Ghazi Hamad, ha sostenuto l’operazione militare del gruppo islamista. Da Teheran arrivano smentite, anche perché la notizia potrebbe portare potenzialmente a un pericoloso allargamento del conflitto tra potenze che vantano tecnologie nucleari. Politicamente, comunque, la Repubblica Islamica chiarisce la sua posizione: “Noi appoggiamo orgogliosamente e incrollabilmente la Palestina”, si legge in una nota della rappresentanza permanente presso le Nazioni Unite, mentre il portavoce del ministero degli Esteri, Nasser Kanani, avverte: “Coloro che minacciano l’Iran dovrebbero sapere che qualunque mossa stupida contro di noi riceverà una risposta distruttiva“. “La determinazione di ferro della nazione palestinese e i combattenti della via di Dio annunciano il certo trionfo sul regime sionista”, ha invece detto il presidente Ebrahim Raisi. Mentre dal ministro degli Esteri, il falco Hossein Amirabdollahian, arriva l’appello ai Paesi musulmani affinché agiscano per “difendere il popolo palestinese e la moschea di al-Aqsa. I Paesi musulmani devono essere uniti nella loro difesa del popolo palestinese oppresso”.

Se il Qatar incolpa le politiche repressive di Israele per ciò che sta accadendo in queste ore nel Paese, pur lavorando per uno scambio di prigionieri tra le due fazioni, chi è perfettamente allineato sulle posizioni di Teheran sono i suoi due alleati regionali: la Siria e soprattutto Hezbollah. Il ministro degli Esteri libanese ha assicurato che non ci sarà alcuna invasione di terra dei miliziani fedeli al leader Hassan Nasrallah se questi non verranno attaccati, intanto però arrivano notizie di un intenso lancio di razzi dal confine verso il nord di Israele proprio da parte del partito armato libanese. “Le nostre armi, i nostri razzi, la nostra storia, tutto quello che abbiamo e siamo è con voi”, ha chiarito il membro del Partito di Dio Hashem Safieddineis.

Fino ad oggi, chi poteva collaborare con Stati Uniti e Israele alla distensione tra questi due blocchi contrapposti era la Russia, la grande potenza alleata della Mezzaluna sciita. Da Mosca, però, arriva solo una timida richiesta di moderazione, con il ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, convinto che “uno Stato palestinese” sia la via per risolvere la crisi in Medio Oriente. Dalla Federazione, comunque, si dicono sorpresi dell’attacco del quale “non sapevamo niente, altrimenti avremmo potuto evitarlo”. Vero o falso che sia, la guerra in Ucraina renderà certamente più complicati i colloqui tra Mosca e Washington per puntare a un cessate il fuoco in Palestina.

Twitter: @GianniRosini

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