Il memorandum con la Tunisia, lo scontro con la Germania, l’operato della giudice Iolanda Apostolico, le accuse tra partiti in campagna elettorale. Poi un messaggio di circostanza e un atto di accusa fortissimo. C’è tutto questo nel giorno del decennale del naufragio di Lampedusa, quando 368 migranti morirono a pochi metri dalle coste dell’isola siciliana. Un anniversario per cui la premier Giorgia Meloni ha pensato bene di inviare una nota di qualche riga. “Profonda commozione”, “troppe tragedie si sono ripetute”, “nostro dovere porre fine alla strage”, “orrendo business“, “impegno incessante del governo nel nome delle vittime”: parole di circostanza, di lontananza. Di assenza, almeno secondo l’arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, che ha firmato un intervento durissimo contro l’esecutivo, accusandolo per l’appunto di essere assente in una giornata che rappresenta uno spartiacque nella complessa vicenda di chi perde la vita nel Mediterraneo per raggiungere l’Europa.

Già il titolo dello scritto del monsignore è emblematico del tono usato: “A cuore aperto, sul Mare nostro che si vuole sempre più sbarrare”. Dopo aver ricordato che il dolore non dipende dal ricordo di quei morti, ma dal fatto che nulla è stato fatto per evitare le successive 25mila vittime, Lorefice parla del Mediterraneo come di un mare “che si è fatto muro anziché ponte tra le sponde, che si è fatto cimitero di vite anziché incontro tra le vite”. Un dolore che scaturisce in rabbia “per lo scenario che si apre davanti a noi: è per ciò che sembra destinato ad accadere ancora nei prossimi dieci giorni, dieci mesi, dieci anni”. Poi l’attacco alla politica, mai così duro. Testuale: “Oggi, a Lampedusa, sono assenti i rappresentati del Governo, gli stessi che meno di due settimane fa sono andati lì a snocciolare abusati ed esausti decaloghi di buone intenzioni, in breve tempo tradotti in misure – ha continuato l’arcivescovo di Palermo – che continuano a barricarci in un mondo sempre più piccolo e miope dal quale gli altri devono essere tenuti fuori, allontananti, respinti. In una parola, per molti di loro: semplicemente condannati a morte“.

E ancora: “I rappresentanti del governo, anziché essere a Lampedusa a occuparsi del destino di migliaia di persone in mare e dall’altra parte del mare – ha detto ancora Lorefice – preferiscono occuparsi di una persona sola: un giudice di Catania che ha fatto il suo lavoro secondo la legge e secondo coscienza, considerando illegittime quelle previsioni del Decreto Cutro che violano sia le norme europee sia innanzitutto la nostra Costituzione”. A seguire il ricordo di don Pino Puglisi, “che se fosse stato ancora oggi tra noi lui sarebbe adesso proprio lì, sul molo di Lampedusa”. Infine l’esortazione: “Come farebbe Don Pino, tutti noi dobbiamo sentirci oggi chiamati su quel molo, ancora una volta non per vuote celebrazioni di strazianti anniversari, ma per assumere un impegno che è di ordine umano ed etico, prima ancora che sociale e politico”. Perché “i migranti vanno accolti, protetti o accompagnati, promossi e integrati’, come ci ha appena esortato Papa Francesco a Marsiglia”.

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