Sembrano ormai lontani i tempi della pandemia e, tuttavia, è ripartita anche in Italia la lotta contro il Covid-19. È portata avanti sicuramente con meno clamore e, come in passato, l’arma principale resta il vaccino. Sono infatti arrivate le prime 969 mila dosi. Si tratta di poco più di un decimo della fornitura che deve arrivare in Italia entro novembre per i richiami alla popolazione anziana, fragile e degli operatori sanitari. Ma il Covid sicuramente non è più lo stesso. Almeno così sembra. “Il virus con cui abbiamo a che fare oggi è molto diverso rispetto al passato. È la variante Omicron, comparsa nell’autunno del 2021, da cui derivano tutte le successive varianti e sotto varianti come Eris e, in altri Paesi, la variante Pirola, di cui è stato segnalato un caso in Italia”, spiega al FattoQuotidiano.it il professor Roberto Cauda, Infettivologo del Policlinico Gemelli di Roma. “Omicron presenta più di 50 mutazioni, si trasmette sempre per via aerea, ma la capacità di trasmissione è maggiore rispetto alle situazioni precedenti”.

Professor Cauda, dobbiamo quindi tornare a preoccuparci?

“C’è in realtà un elemento positivo: Omicron con tutte le sue varianti e sotto varianti ha una minore capacità di provocare la polmonite che era la patologia più grave durante la pandemia. Si osservano ormai molti meno casi di polmonite e solo nei soggetti fragili o in età avanzata, o con malattie preesistenti. Inoltre, l’aumento dei casi di Covid – e considerando anche tutti quelli che sfuggono alle rilevazioni – non si traduce in una forte pressione sugli ospedali”.

I sintomi che presentano queste sotto varianti sono più pesanti?

“Rispecchiano quelli a cui siamo stati abituati nel corso di questi anni e che interessano le alte vie respiratorie: raffreddori, mal di gola, spossatezza, sintomi simil influenzali. In alcuni casi diarrea e, ancora meno frequentemente, vomito. Abbiamo circa l’80% di forme asintomatiche o molto leggere; il restante 20% presenta sintomatologie di cui quelle gravi sono molto meno. Va anche sottolineato che, mentre in passato si presentavano molti più casi di long Covid (sintomi legati all’infezione da Sars-CoV-2 che insorgono o persistono anche per settimane o mesi dopo la guarigione da Covid-19, ndr), oggi il fenomeno tende a diminuire, come anche la perdita di olfatto e del senso del gusto”.

Dobbiamo comunque riprendere alcune precauzioni perché si è abbassata un po’ la guardia?

“È evidente che dopo tre anni di pandemia l’attenzione delle persone verso il virus è andata scemando. Non dico che dobbiamo tornare a un uso estensivo delle mascherine, né tantomeno al lockdown, ma un po’ più di attenzione nei prossimi mesi andrebbe posta, specie se abbiamo un raffreddore e ci troviamo a interagire con una persona fragile o anziana. Quindi più un’attenzione personale che strategie di larga scala che investano l’intera popolazione. La pandemia è finita in quanto emergenza, ma il virus continua a circolare. Questa circolazione porta ad altre varianti e sotto varianti. Quindi fino a che non disporremo di vaccini in grado di bloccare la trasmissione del virus, dovremmo continuare ad avere delle cautele. Ma non credo che torneremo a situazioni del passato: avremo non più ondate ma, se me lo consente di dire, ‘ondine’.

Passiamo ai vaccini. Avremo a breve i nuovi a mRNA aggiornati contro XBB.1.5. Ma noi ora abbiamo a che fare con la sotto variante EG.5, Eris. Non è che questi vaccini non proteggono abbastanza?

“La produzione dei vaccini è veloce ma non così tanto da prevenire la comparsa di nuove varianti. In ogni caso, conviene sempre vaccinarsi. Soprattutto alle persone sopra i 60-65 anni, ai soggetti che presentano patologie sottostanti, alle donne in gravidanza, come al personale addetto ai servizi essenziali per la Nazione, al personale sanitario. Devono trascorrere 90 giorni dalla precedente vaccinazione o da un’infezione da Covid. In questi anni abbiamo sviluppato anche un’immunità ibrida. In altre parole, nella popolazione sono presenti persone già vaccinate e che hanno avuto l’infezione”.

Quindi non c’è bisogno di una vaccinazione di massa.

“No, neanche l’Oms la ritiene necessaria. Dobbiamo eseguire vaccinazioni mirate. Questo tipo di vaccinazione non da una prevenzione a lungo termine, né garantisce di non essere infettati. Protegge però da sintomatologie gravi e dal rischio di decesso. Inoltre, chi si ammala oggi ha anche a disposizione farmaci da utilizzare nei primi 5-7 giorni dalla comparsa dei sintomi, come Remdesivir, Paxlovid a questi possiamo aggiungere gli anticorpi monoclonali anche se quest’ultimi risentono delle mutazioni dello Spike che caratterizzano le nuove varianti/sotto varianti e quindi hanno una minore efficacia. Anche se la stragrande maggioranza non ha bisogno di questi farmaci, sono utili per chi presenta delle criticità”.

Si parla ancora poco di prevenzione. Quali strategie a lungo termine?

“Non farci cogliere impreparati, a vari livelli: nazionale, regionale e del singolo cittadino. Non pensare che le malattie interessino solo alcune aree remote, abbiamo visto che non è così. Soprattutto vanno potenziati gli ospedali ma in particolare la medicina del territorio, con il rafforzamento del ruolo del medico di famiglia che faccia da filtro con gli ospedali, impedendo che siano sovraffollati”.

E lo stile di vita?

“Nei confronti del virus abbiamo purtroppo assistito a decessi che interessavano persone giovani e atletiche. Tuttavia, lo stile di vita che comprende sana alimentazione, non fumare, consumo di alcol moderato e svolgere attività fisica ha una priorità su tutte le forme di malattie”.

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