Il nuovo governo fascista nacque il 23 settembre di ottant’anni fa: si chiamò Repubblica Sociale Italiana e tutti la chiamarono Repubblica di Salò. Benito Mussolini la creò meno di due mesi dopo il suo arresto del 25 luglio – avvenuto dopo il celebre voto del Gran consiglio -: da quel giorno il Duce fu trasferito continuamente in varie località per evitare che i tedeschi lo liberassero. Dopo l’armistizio, il 16 settembre – quando il re era già fuggito a Brindisi e gran parte dell’Italia centrale e settentrionale era controllata dai nazisti – Mussolini fu liberato. Una settimana dopo creò il nuovo governo fascista: fu decentrato e sparso per l’Italia settentrionale ma a Salò avevano sede il ministero degli Esteri, quello della Propaganda, l’agenzia stampa e gli uffici relativi. Così, di conseguenza, tutti i comunicati iniziavano dicendo “Salò comunica” e resero la città sul Garda un sinonimo del governo stesso.

L’impressione che si ha, osservando la breve storia di questo esperimento fascista, oscilla tra la costruzione di uno Stato fantoccio della Germania nazista e il disperato tentativo di riconquista del potere da parte di un regime moribondo. Fu un caos di bande armate e semi-indipendenti in lotta contro i partigiani e tra di loro, che si macchiarono di crimi efferati anche con i civili. Di ciò tuttavia si sa poco, poiché molto è rimasto nascosto l’idea dello stato fantoccio. Ne abbiamo parlato con Marco Cuzzi, docente al Dipartimento di studi storici dell’università Statale di Milano, autore di Seicento giorni di terrore a Milano. Vita quotidiana ai tempi di Salò (Neri Pozza, 2022) e vincitore del premio Acqui Storia.

Lo Stato della Repubblica sociale avrebbe dovuto essere “repubblicano, corporativo e fascista”. Che significa e come, in realtà, fu?
Significa che dopo il 25 luglio del 1943 e dopo il “tradimento” del re, la rinascita di uno Stato fascista non poteva che essere in antitesi a uno Stato monarchico e, dunque, uno stato repubblicano. Inoltre, questo passaggio si richiamò esplicitamente alle origini fasciste, al manifesto di San Sepolcro del 1919, all’invocazione che allora si fece di una nuova Assemblea costituente, in opposizione all’assetto monarchico. Quindi, da un lato ci fu una scelta obbligata e oppositiva rispetto alla monarchia; dall’altro un richiamo delle radici più ribelliste del fascismo. A questo ultimo punto si collegava anche l’idea del corporativismo come forma di socializzazione. L’elemento corporativo era rimasto alla base di tutto l’impianto fascista littorio e repubblicano, in questo contesto si rafforzò l’idea della socializzazione attraverso ipotesi di cogestione operaia. Di fatto non ci fu niente di ciò nel concreto, se non in alcune aziende, soprattutto editoriali e le più “comode”, come quella del Popolo d’Italia. Ovviamente, oltre l’aspetto propagandistico in salsa repubblicana (frequenti i richiami a Mazzini, ai fratelli Bandiera), si trattò di una repubblica senza partiti, di un altro regime.

E gli scioperi operai del 1944?
Nella narrazione generale si immagina una mobilitazione di natura politica. Tuttavia, per quanto senz’altro ci fossero settori che aderirono alle forze della Resistenza, l’elemento prioritario fu quello dello sciopero sociale, di vertenza. Non si voleva più la guerra. In ogni caso le repressioni furono brutali e questi episodi segnarono un enorme scollamento dal regime.

Chi furono i bracci armati della Rsi? Come operarono?
Tantissimi. Anzitutto la forza militare organizzata dell’esercito, sotto la guida di Rodolfo Graziani, con quattro divisioni complete e diverse unità, che avrebbero dovuto affiancare i tedeschi in prima linea ma che, in gran parte, dopo il 1944, costituirono gruppi di cacciatori per reprimere la resistenza interna. C’era poi un esercito più politico, un esercito in camicia nera, ossia quello della Guardia Nazionale, costituito dalla fusione a freddo tra vecchia Milizia fascista, polizia dell’Africa italiana e carabinieri. C’erano poi le brigate nere, formate da iscritti al partito, coinvolti nella repressione dei partigiani. Inoltre, non vanno dimenticate la Decima Mas e le polizie. La Decima Mas, sotto Junio Valerio Borghese, fu una sorta di compagnia di stampo medievale che interagiva direttamente con i tedeschi. La polizia repubblicana, invece, molto malconcia e infiltrata dalla Resistenza, fu gradualmente sostituita da bande spietate in ogni città.

Cosa ci dice l’alto tasso di renitenza alla leva a Salò?
La renitenza fu una delle forme di resistenza plurale. Senz’altro prese parte in ciò anche una convinzione politica ma, anche in tal caso, fu dirimente il desiderio di finire l’ennesima guerra che andava verso la disfatta. Si ricordi che molti renitenti avevano già partecipato ai conflitti in Grecia, Albania, Russia e Nord Africa

Che ruolo ebbero le donne?
Anche in tal caso si tratta di un’altra delle espressioni della resistenza plurale, che va ben oltre all’idea di contributo femminile in qualità di donna e madre dei partigiani. La partecipazione fu attiva e poliedrica, un impegno che anticipò il successivo evolversi dei movimenti di emancipazione femminile.

Dunque fu uno stato fantoccio della Germania nazista o un disperato tentativo di riconquista del potere da parte di un regime moribondo? Che lascito ha avuto?
Parlare di Stato fantoccio è riduttivo. Anzitutto perché ci fu chi gli credette. Molti ragazzi nati nel 1922 non conoscevano altro che il regime. Era la scelta sbagliata, ma l’unica possibile. Inoltre, amministrativamente, tutto sommato funzionò. Fu però, senza dubbio, uno Stato collaborazionista e a sovranità limitata. I tedeschi, oltretutto avevano preso Trento e Trieste, miti fondativi del fascismo. Tuttavia, i tedeschi servivano, proprio per quel tentativo di prosecuzione del potere di un regime che andava a morire. Come lascito occorre sottolineare una certa centralità dell’Rsi nell’immaginario neofascista. Infatti la sua rinnovata componente virile, eroica, bellica e a tratti ribellista, fondò su questa irruenza un nuovo ideale romantico che ebbe e che può avere un potenziale spaventosamente attrattivo. È importante, anche in virtù di ciò, una maggiore storicizzazione di questa esperienza.

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