L’ex presidente Usa Barack Obama si schiera con gli operai delle ‘Big Three’ General Motors, Stellantis e Ford, in sciopero da venerdì. “Quattordici anni fa, quando le tre grandi case automobilistiche lottavano per restare a galla, la mia amministrazione e il popolo americano intervennero per sostenerle. Lo stesso hanno fatto i lavoratori del settore automobilistico della UAW, che hanno sacrificato retribuzioni e benefici per aiutare le aziende a rimettersi in piedi. Ora che stanno godendo di grossi profitti è tempo di fare la cosa giusta nei confronti di quegli stessi lavoratori in modo che il settore possa emergere più unito e competitivo che mai”, ha scritto su X l’ex inquilino della Casa Bianca.

Quella che viene considerata la più ambiziosa azione di lotta dei lavoratori statunitensi da decenni sta intanto continuando, con la minaccia che la protesta si allarghi ad altri stabilimenti provocando un effetto a catena su uno dei settori strategici dell’economia americana. Il presidente Joe Biden ha inviato a Detroit la segretaria al Lavoro Julie Su e il suo consigliere per l’economia, Gene Sperling, per facilitare il raggiungimento di un accordo il prima possibile. Il leader della minoranza democratica alla Camera Hakeem Jeffries ha annunciato che si recherà a Detroit in segno di solidarietà. Dopo la ripresa delle trattative, il sindacato ha fatto sapere che “ci sono state conversazioni ragionevolmente proficue con Ford”, senza fare riferimento alle altre aziende. Stellantis incontrerà i rappresentanti di Uaw lunedì.

“L’80% delle nostre richieste non è stato soddisfatto”, ha dichiarato Shawn Fain, leader del potente United Auto Workers. Il sindacato chiede un aumento delle paghe fino al 40% in quattro anni alla luce dei profitti record dell’industria e degli stipendi stratosferici degli amministratori delegati ma General Motors, Ford e Stellantis hanno messo sul tavolo aumenti del 20%. Un’offerta che la ceo di Gm Mary Barra, che lo scorso anno ha incassato 29 milioni di dollari (+34% rispetto a quattro anni fa), ha definito “storica” e dalla quale difficilmente si scosteranno.

Il prossimo passo del sindacato potrebbe essere allargare lo sciopero ad altre fabbriche oltre alle tre già in agitazione: quella della Ford a Warren, in Michigan; Stellantis a Toledo, in Ohio e General Motors a Wentzville, in Missouri. “Potrebbe avvenire tra un giorno o una settimana, dipende da come si evolve la situazione”, ha detto il leader del sindacato. Le prime conseguenze sulla produzione si sono già fatte sentire. “Il nostro sistema è altamente interconnesso, il che significa che lo sciopero della UAW avrà effetti a catena anche su tutte quelle strutture nelle quali i lavoratori non hanno incrociato le braccia”, ha denunciato in una nota Ford che ha chiesto a 600 operai di non presentarsi in fabbrica venerdì, così come General Motors ha lasciato a casa 2.000 persone di uno stabilimento in Kansas.

Dopo gli operai e gli sceneggiatori di Hollywood, i prossimi lavoratori americani a incrociare le braccia potrebbero essere hostess e steward. Le principali compagnie aeree americane, sottolineano i media Usa, si sono riprese dalle perdite causate dalla pandemia di Covid e stanno accumulando ingenti profitti, ma gli assistenti di volo ritengono di essere sottopagati e chiedono aumenti salariali e miglioramenti delle condizioni di lavoro. Nel secondo trimestre del 2023, American Airlines ha registrato ricavi record pari a 14,1 miliardi di dollari, idem per United Airlines che ha guadagnato 14,2 miliardi di dollari e Alaska Airlines con 2,8 dollari. I lavoratori di quest’ultima compagnia, riuniti nel sindacato Afa-Cwa, hanno organizzato picchetti negli aeroporti chiedendo un aumento del 40% dello stipendio e minacciando uno sciopero durante le festività natalizie. Anche all’American Airlines il 97% di hostess e steward, riunite nel sindacato Association of Professional Flight Attendants, hanno votato in favore dello sciopero se non otterranno un aumento del 35% della paga mensile. La maggior parte degli assistenti di volo lavora con un contratto del 2014 che prevede uno stipendio tra i 24.000 e i 27.000 dollari l’anno non sufficiente, secondo i sindacati, neanche a coprire le spese quotidiane.

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