Le donne devono avere la testa sulle spalle, possibilmente sempre sobrie, nei locali sorvegliare il bicchiere, vestirsi in modo non provocante, meglio se a tarda sera sono accompagnate, mai da sole. Sono le raccomandazioni di una madre o di un padre alle figlie, nel mondo di oggi.
Le raccomandazioni, però, non valgono per i figli. Ovvio, normale, di lupe non se ne vedono.

I lupi invece esistono, figlia, stai attenta.
I lupi: che però hanno due gambe e non 4 zampe, che però hanno il cellulare e non la coda.
Sono questi ‘i lupi’ da temere molto di più degli animali della foresta, perché la vera giungla, quella con le leggi del branco che ti feriscono, stuprano, persino ti ammazzano è vicinissima a casa, quando addirittura non è dentro casa. C’è chi non riesce nemmeno a dire che sta definendo un uomo con il nome di un animale perché non ce la fa ad ammettere la realtà.

Questa è la narrazione dominante, alla fine dei discorsi e delle analisi di deprecazione ad ogni nuovo stupro o ennesimo femminicidio. Lo diamo per scontato, oggi nell’era della tecnologia così come ieri in quella dei telefoni a gettoni e il fax: l’uomo è cacciatore, in determinate condizioni ogni uomo, sembra.

Sento fare questi ragionamenti a scuola, tutti i tipi di scuola, dai ragazzi superaccessoriati tecnologicamente, che ripetono però gli stessi concetti dei nonni: su questo argomento sembra che le generazioni siano rimaste identiche, nonostante i secoli trascorsi. Le relazioni tra i sessi sembrano immutate nel tempo, alla prova dei fatti. Tremendo.

Un ragazzo di 16 anni, prima della pandemia, scosse la testa quasi sconsolato, come se non ci fosse nulla da fare, con la rassegnazione che si esprime quando si ammette l’inevitabile. Avevamo appena visto nella sua classe il breve video Parole d’amore dove, in una escalation vertiginosa, vengono messe in fila le frasi d’uso comune zeppe di un carico di misoginia che ormai fa talmente parte della nostra quotidianità da non farci più caso. Una di queste, “non metterti la gonna corta se non ci sono io”, è stata quella che ha fatto scuotere la testa dello studente. “Lo so che è brutto dirlo alla tua ragazza. Ma è così, se non ci sei tu con lei, e lei è vestita in modo provocante, si può mettere male. Io li conosco, i maschi Io li conosco”.

Ecco, questa considerazione dovrebbe far sussultare ogni persona adulta, si dovrebbero immediatamente fermare le lezioni in ogni scuola, si dovrebbero iniziare sessioni di settimane, di mesi di discussione con letture, film, serie tv, incontri a porte aperte con le famiglie sulla sessualità, sulla responsabilità, sul piacere, sul senso del limite, sulla gioia, il rispetto, insomma su ogni lato possibile della convivenza tra donne e uomini nelle nostre comunità.

Perché se a 16 anni si è convinti che i maschi sono portatori (semplicemente perché maschi) di una cultura violenta e predatoria che sta dentro di loro e che si esprime con il loro corpo anche e soprattutto nella sessualità allora è ovvio e normale che si stuprino, sottomettano, umilino, disprezzino, uccidano le donne. Come potrebbe essere altrimenti?

Il cartello “o me la dai o me la prendo” mostrato ‘per scherzo’ in un locale frequentato da giovani poco tempo fa per rendere frizzante e ‘contemporaneo’ il mood dell’ambiente, è solo il corollario naturale della normalizzazione della natura ferina maschile. Dai, lo sappiamo tutti come va a finire se.

Se lei è libera, se perde il controllo, se non è a casa all’ultimo rintocco. Se la carrozza si ritrasforma in zucca occhio che fuori c’è il lupo, con i suoi diritti di lupo. Il lupo ha sempre ragione. Lo sapevi a cosa andavi incontro, te la sei cercata. Smettila di piangere: se per caso sei ancora viva ti è andata di lusso.
Questo arrendersi all’inevitabile, cioè al fatto che comunque c’è una grande quota di maschi che si trasforma in aggressore, dimostra che siamo una società arresa ad una criminale profezia che si autoavvera solo perché ci fa comodo che si continui così. Troppo faticoso, persino pauroso mettere in discussione lo status quo delle relazioni asimmetriche tra i sessi.

E’ più facile continuare ad addestrare le donne ad essere docili, mettendo nel conto tra loro una quota di vittime, perché è ciò che nei millenni abbiamo imparato a fare, piuttosto che liberare le donne, e quindi anche gli uomini, dalle catene degli stereotipi e del pregiudizio.

Per educare alla parità, alla nonviolenza, al rispetto, al senso del limite, all’ascolto, persino ad accettare e convivere con la frustrazione causata da eventuali rifiuti servono preparazione, discussione, tempo, ascolto, lavoro di relazione, coraggio, senso dell’umorismo, politica, cultura. Niente che si possa fare con uno smartphone, in chat, sui social o in una call. E chi ne ha voglia, dai? Meglio allora aumentare le pene, e dare fiato alla voglia di vendetta occasionale, la forma di controllo più efficace in ogni dittatura.

Certamente le leggi, il carcere, il rigore sono necessari, ma tutto questo arriva solo dopo che lo stupro o il femminicidio sono avvenuti. Riavvolgere il nastro non è possibile, il passato è dietro le spalle.
Ma nel presente, per cambiare il futuro, serve educare prima di tutto i maschi: a non pensarsi come lupi, perché sono essere umani, non lupi. Perché il loro corpo non è uno strumento di morte e di dolore, ma è, come quello delle donne, mezzo per dare e ricevere gioia, tenerezza, affetto.

Va detto ai ragazzi, fin da piccolissimi, che la compassione non è debolezza, che la brutalità non è forza, che la violenza è dei miserabili. Saremo capaci, come società adulta, di attuale un cambiamento di paradigma che finalmente ascolti e valorizzi i saperi che il femminismo ha disseminato?

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