Rientrati dalle vacanze, ora che l’odore di crema solare è solo un lontano ricordo, mentre si scaldano le campanelle pronte a dare il via al nuovo anno scolastico, per molti pendolari italiani è tempo di rinnovare gli abbonamenti dei mezzi. E come se non bastassero gli aumenti negli scaffali del supermercato, l’incognita delle bollette e il caro prezzi diffuso, ecco che anche per biglietti e abbonamenti dei mezzi di trasporto arrivano i rincari. Mentre si parla di politiche per la riduzione dell’utilizzo delle automobili (per diminuire l’inquinamento delle città, migliorando la qualità dell’aria e riducendo le emissioni di CO2) ecco che dall’altro fronte aumentano però i prezzi degli abbonamenti: “In controtendenza al resto d’Europa”, come spiega al fattoquotidiano.it Dario Balotta, esperto di trasporti e ambiente e presidente dell’Osservatorio nazionale liberalizzazioni e trasporti (Onlit). Dopo il calo causato dalla pandemia il numero di pendolari cresce e sfiora i numeri del 2019, ma sono ancora pochi: in troppi scelgono l’auto per raggiungere il luogo di lavoro. Ci sono “tariffe che non avvicinano l’utenza e che non sono giustificate rispetto alla qualità dei servizi. L’idea di pagare un treno che è sempre in ritardo, non piace a nessuno”, sottolinea Balotta.

GLI AUMENTI – Ultima in ordine di tempo a far scattare i rincari è la Lombardia: Trenord, dal primo settembre, ha rivisto i prezzi con un aumenti medio del 4%, tanto dei biglietti singoli quanto degli abbonamenti. Pochi centesimi per i ticket, pochi euro per gli abbonamenti ma che rappresentano l’ennesimo costante aumento delle tariffe, nonostante i comitati dei pendolari continuino a lamentare, in Lombardia come nel resto d’Italia, ritardi e scarsa qualità del servizio. In Campania gli aumenti sono scattati il primo agosto: rincari per i biglietti di viaggio di bus, metro e funicolari: la corsa singola passa da 1,20 a 1,30 euro. Scongiurati (almeno per il momento) gli aumenti dei mezzi urbani di Milano, dove però il rincaro è scattato a gennaio 2023 con un biglietto da 90 minuti che costa già 2,20 euro. Sono questi i risultati degli adeguamenti all’inflazione previsti nei contratti di servizio di ciascuna Regione con i gestori dei servizi di trasporto. E riguarda tutta Italia, in tempi e con percentuali diverse: in Sicilia gli aumenti relativi ai treni regionali sono stati addirittura del 10% e sono scattati a gennaio 2023, +3% in Veneto sempre a gennaio, +4% in Toscana a inizio estate, solo per fare alcuni esempi. E il Bonus trasporti di 60 euro? “I soldi sono finiti immediatamente, rispetto al governo precedente quest’anno gli stanziamenti sono sono stati sensibilmente ridotti”, spiega Dario Balotta.

IL PUNTO REGIONE PER REGIONE – Ma quanto pesa sulle tasche di un pendolare raggiungere il posto di lavoro in treno? Per un adulto che vive a 36 chilometri da Milano l’abbonamento annuale in seconda classe è passato da 711 euro del 2022 agli attuali 739. Per comprendere la costanza degli aumenti basta ricordare che per la stessa tratta nel 2014 si pagava 651 euro. L’abbonamento annuale è la soluzione più “economica” ma spesso, per evitare di pagare tutto in un’unica soluzione, il pendolare preferisce acquistare l’abbonamento mensile: oggi in Lombardia per una tratta dai 36 ai 40 chilometri costa 77 euro, tre in più dello scorso anno, che moltiplicati per 12 mesi pesano in un anno 924 euro (847 escludendo un mese per le ferie). Ma la Lombardia non detiene il record dei prezzi dei treni più alti. Come si evince dalle tariffe in vigore di Trenitalia e degli altri gestori, per gli stessi chilometri si paga di più in Piemonte (dove l’annuale costa 871 euro), ma anche in Puglia (823 euro), Toscana (765 euro) e Sicilia (742 euro). Il gap infrastrutturale e di servizi tra nord e sud sembra, pertanto, non incidere sulle tariffe, anche qui in crescita anno dopo anno per gli adeguamenti all’inflazione. Poco meno della Lombardia si paga nelle Marche (731,10 euro) e in Friuli Venezia Giulia (702 euro). Sotto la soglia dei 700 euro la Liguria (688 euro), l’Umbria (667,80), l’Abruzzo (630,80) e la Calabria (606,60). Va meglio in Veneto (con 595,50 euro) e in Campania, dove le fasce non solo chilometriche ma a zone e la cifra di un abbonamento annuale si aggira intorno a 520,80 euro. A zone è anche la tariffazione del Lazio e per avvicinarci all’esempio dei 36 chilometri i prezzi oscillano tra i 404 e i 488 euro. Chiudono il quadro la Sardegna (482 euro), l’Emilia-Romagna (473,60), il Molise (446,80). Regione più economica risulta essere la Basilicata, con un abbonamento annuale per la fascia 31-40km di 413,50 euro.

IN CONTROTENDENZA – “Gli Stati europei, dopo la pandemia, tendenzialmente hanno scelto di dare un contributo al miglioramento ambientale non aumentando ma anzi diminuendo i prezzi degli abbonamenti. Quindi l’Italia è in controtendenza”, spiega Dario Balotta. “Nella regione di Madrid – aggiunge – è stata decisa la riduzione, così come in Germania. In Spagna hanno anche previsto che l’abbonamento va obliterato e bisogna quindi dimostrare che si usa, ottenendo così un conseguente vantaggio sociale e ambientale”. Prezzi in aumento, ma che qualità del servizio viene offerta agli utenti? Legambiente, nel report annuale Pendolaria, racconta come “per i 3 milioni di pendolari del treno in Italia continua senza grandissime novità la via crucis quotidiana per spostarsi e per raggiungere il posto di lavoro o di studio in città”. Tra linee a binario unico, treni “con frequenze a dir poco irrispettose dei cittadini”, risorse economiche inadeguate a “rendere più competitivo il mezzo pubblico su ferrovia rispetto a quello privato su strada”, ritardi nella riattivazione di linee ferroviarie interrotte, sospese o abbandonate…. “È davvero ancora troppo lenta – scrive Legambiente nel report – la transizione ecologica del settore dei trasporti nel nostro Paese”.

LE DIFFERENZE – E nonostante tante regioni del sud occupano i primi posti per le tariffe più care, persistono le differenze tra settentrione e meridione. “Le corse dei treni regionali in Sicilia, ad esempio, sono ogni giorno 506 contro le 2.173 della Lombardia, quando la popolazione in Lombardia è pari al doppio dei siciliani (rispettivamente 10 e 5 milioni) con un’estensione inferiore a quella dell’isola”, si legge ancora su Pendolaria. L’età media dei treni in Italia si attesta a 15,3 anni. Al sud i treni sono più vecchi: la media è di 18,5 anni contro gli 11,9 anni del nord. Ma non c’è solo il gap tra nord e sud del Paese, il divario si registra anche tra il nord Italia e altre zone d’Europa. “La Lombardia – sottolinea il presidente dell’Onlit – ha 650 mila passeggeri al giorno, la Baviera (dove l’area metropolitana di Monaco è simile a quella di Milano) ha invece un milione e mezzo di passeggeri trasportati al giorno. Il divario non è solo tra Sud e Nord quindi, ma anche tra Lombardia e Baviera. È questo il sistema italiano“. L’enorme ritardo infrastrutturale italiano nei trasporti rispetto ad altri Paesi europei è evidenziato nel report i Legambiente: in Italia “le linee metropolitane si fermano a 254 km totali, ben poco rispetto a Regno Unito (679 km), Germania (656) e Spagna (614). I km di metropolitane in tutta Italia sono paragonabili a quelli di città come Madrid (291,3) o Parigi (225,2). In Italia ci sono 397 km di tranvie rispetto agli 835 km della Francia e ai 2.039 km della Germania. L’Italia è dotata di 740 km di ferrovie suburbane, mentre sono 2.038 in Germania, 1.817 km nel Regno Unito e 1.443 in Spagna”. Da ciò l’inquinamento urbano alle stelle in diversi capoluoghi “conseguenza del numero record di veicoli privati in circolazione (672 auto ogni 1.000 abitanti, quasi il 30% in più rispetto alla media di Francia, Germania e Spagna)”. E se spesso vengono confrontate le tariffe di altri paesi europei con i prezzi dei treni regionali italiani bisogna considerare il “potere d’acquisto più alto dei salari e il rapporto va fatto in base a questo e non ai numeri assoluti”, sottolinea Balotta. Uno studio datato 2019 dell’European data journalism riscontrava come che il prezzo di sola andata di un tragitto medio di treno in Italia pesa sul reddito medio del cittadino come in Spagna (il 2%) mentre incide meno per i tedeschi (1,9%) e i francesi (1,8%). Senza considerare, ovviamente, la qualità del servizio.

LE RISORSE E LA GESTIONE – Dal 2000 sono stati trasferiti alle Regioni poteri e risorse sul servizio ferroviario locale: sono loro a sottoscrivere i contratti di servizio con i gestori. Come si evince dal report di Legambiente “mediamente, per il 2021, gli stanziamenti sono stati pari allo 0,57% dei bilanci regionali, in miglioramento rispetto allo 0,34% registrato nel 2020, ma in diminuzione rispetto allo 0,65% del 2019″. Intanto, però, per gli utenti aumentano costantemente i prezzi di biglietti e abbonamenti, per adeguare i costi all’inflazione. Troppe poche risorse? Per il presidente dell’Osservatorio nazionale liberalizzazioni e trasporti non è questo il problema: “Con le risorse che ci sono si potrebbero avere più treni e a migliori condizioni, più frequenti e puntuali, così come i bus”, spiega Dario Balotta. “Ai gestori vanno all’incirca 12 miliardi l’anno di fondi, ma i risultati di questa spesa pubblica sono assolutamente modesti e non lasciano presagire la possibilità di poter aumentare nettamente il numero dei fruitori. Si potrebbe fare di più e da un po’ di anni tutte le attenzioni sono concentrate sull’Alta velocità“. “C’è una situazione problematica – continua Balotta -che arriva da lontano. L’approccio monopolista, garantista e anticoncorrenziale ha bloccato tutto”. Per Balotta bisogna puntare su “una strutturata integrazione tariffaria, con un titolo di viaggio vale per tutti i mezzi”. Da anni gli altri Stati hanno avviato le liberalizzazioni ottenendo vantaggi significativi in termini di qualità del servizio. In Italia, spiega l’ex sindacalista, bisognerebbe almeno aumentare i controlli e l’efficienza: “Il regolatore pubblico che dà i soldi, dovrebbe pagare in base all’effettivo contributo che il gestore fornisce, invece oggi si paga a prescindere anche se si viaggia in ritardo, con i treni sporchi, con i finestrini rotti, senza informazioni, senza coincidente e senza una bigliettazione moderna”, conclude l’ex sindacalista.

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