Il vescovo di Terni Francesco Antonio Soddu, fa campagna in sostegno di una raccolta firme contro l’aborto. In una lettera, pubblicata sul sito web della diocesi, il religioso ha rilanciato infatti l’iniziativa anti-abortista che propone di intervenire sulla legge 194 e rendere obbligatorio per il medico che visita la donna prima dell’interruzione di gravidanza “far vedere, tramite esami strumentali, alla donna intenzionata ad abortire, il nascituro che porta nel grembo”, nonché l’obbligo di “farle ascoltare il battito cardiaco”. Il vescovo sostiene nella lettera che “la finalità è di accrescere la consapevolezza della donna affinché possa decidere più liberamente e più consapevolmente se ricorrere o no all’aborto”.

L’iniziativa, accolta con favore dai gruppi anti-abortisti, è stata fortemente contestata dalla deputata di Alleanza verdi e sinistra Elisabetta Piccolotti. “La laicità dello Stato in Italia è purtroppo continuamente messa in discussione”, ha scritto su Facebook. “Purtroppo c’è una parte del paese che vorrebbe che le leggi dello Stato si fondassero su alcune convinzioni religiose invece di rispettare il pluralismo e quindi la libertà di scelta di ogni donna”. Per Piccolotti i “conservatori italiani” vogliono smontare la legge n. 194 lasciando “la possibilità di interrompere la gravidanza solo sulla carta”, e intanto rendendo “il percorso per farlo un calvario psicologico e materiale fatto di medici obiettori, consultori chiusi, obbligo di ascoltare i volontari delle associazioni no-aborto (finanziate dalle regioni), necessità di tornare più volte in reparto per attendere il battito del feto, negazione della pillola abortiva, ricoveri inutili e così via”. Quindi la parlamentare ha concluso: “Tutto questo non è degno di un Paese civile. Il movimento femminista continuerà a mobilitarsi e noi con loro per impedire questo clamoroso e drammatico ritorno al passato”.

Dall’Umbria sono già arrivate alcune segnalazioni (le ultime risalgono a un anno fa), di medici che costringono le donne a sentire il battito del feto. Il certificato di interruzione di gravidanza infatti, viene rilasciato solo dopo un’ecografia (anche se poi sarà rifatta in ospedale). Secondo le attiviste Pro Choice si tratta di “una malpractice dal punto di vista sanitario”. Ed è solo uno dei tanti ostacoli in Italia all’aborto.

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