Il Presidente Gabriel Boric non è riuscito nell’intento che aveva dichiarato di unire tutte le forze politiche cilene in un atto o un documento di ripudio congiunto al colpo di Stato di 50 anni fa (11 settembre 1973) e di impegno comune per la Democrazia e i Diritti Umani. La vicenda si è complicata e attorcigliata, fino all’ultimo sono possibili alcune sorprese, ma solo parziali. Ci sarà un atto commemorativo, con la presenza di ex Presidenti della Repubblica, e di alcuni Capi di Stato stranieri, in cui si firmerà il “Compromiso de Santiago“. Un testo sobrio di impegno a rispettare sempre la democrazia e i diritti umani, un ricordo della “rottura della democrazia”. Senza neanche citare esplicitamente Allende e Pinochet, perché lo scopo – non raggiunto – era quello di portare alla firma anche le forze politiche di centrodestra e destra, oggi maggioritarie nel Parlamento e soprattutto nella nuova Assemblea Costituente e nei sondaggi. L’ ex presidente di centrodestra, Sebastian Pinhera, firma ma non sarà presente. I suoi partiti, ora riuniti nella coalizione Chile Vamos né firmano né saranno presenti, ma hanno fatto una dichiarazione congiunta, senza la destra radicale dei Republicanos, in cui si legge che la “rottura della democrazia marcò il culmine di una profonda frattura“. Gli impegni per il presente e per il futuro sono impeccabili – sempre democrazia, sempre diritti umani – ma sul 1973 si resta un po’ vaghi. Il problema è che, complice la deriva securitaria del momento attuale, i giustificatori del Colpo di Stato di Pinochet sono risaliti al 32/33% (secondo recenti sondaggi) e il centrodestra non può lasciarli tutti ai Republicanos, che già sono risultati il primo partito alle elezioni della (seconda) Costituente. Nei sondaggi attuali sul Colpo di Stato non si arriva a giustificare apertamente le torture né le esecuzioni né i desaparecidos, ma sembra riemergere a destra l’idea che quei crimini siano stati una sorta di effetto secondario della dittatura.

Il “plebiscito” e il colpo di stato
Sono uscite in questi mesi molte ricostruzioni, interviste, nuovi libri storici. Al centro dell’attenzione, inevitabilmente, le ultime settimane, gli ultimi caotici giorni prima del Colpo di Stato. Praticamente tutti ora concordano sul fatto che Allende aveva deciso di sottoporre a referendum la continuità del suo mandato presidenziale. Ai suoi collaboratori, e agli interlocutori politici della Unidad Popular aveva detto che così si sarebbero evitati sia golpe che guerra civile e “sono convinto che lo perdiamo, ma con una percentuale molto alta e ripartiamo forti per le prossime elezioni”. Intendeva annunciarlo alla nazione proprio martedì 11 settembre. Perché non lo ha detto prima, anche solo un giorno prima? ” Ho raccolto testimonianze dirette da protagonisti di quel momento”, racconta Gilberto Bonalumi, che negli Anni 70 come parlamentare democristiano italiano seguiva l’America Latina. “Allende aveva cercato fino al giorno prima il consenso al referendum da parte dei democristiani, principale partito di opposizione, e da parte dei socialisti, principale partito della sua coalizione. Per motivi opposti, nessuno dei due glielo aveva dato”. In quei giorni Allende era in contatto continuo col numero uno dell’Esercito, Pinochet, senza sospettare che il generale stesse passando dalla parte dei golpisti. Sicuramente il Presidente aveva comunicato anche a Pinochet la sua intenzione di procedere sulla strada del referendum, convinto che il Parlamento, dominato dall’opposizione, avrebbe accettato quella che in fin dei conti era una resa. Perchè il colpo di stato? La risposta prevalente è che i generali golpisti ormai volevano il potere, non le elezioni anticipate. L’ex ministro di Allende, Arrate, ha dichiarato pochi giorni fa che secondo lui, addirittura, i militari avrebbero anticipato il golpe per evitare che Allende annunciasse il referendum, temendo che lo potesse vincere.

Il poder feminino nel 1973 e le dimissioni di Prats
Un episodio poco conosciuto in Italia fu decisivo per aprire la strada a Pinochet e ai golpisti ed è tornato in evidenza in questo anniversario. Il Comandante dell’Esercito durante il governo di Allende era Carlos Prats, fedele alla Costituzione e in ottimi rapporti col Presidente. Una garanzia, una sorta di tappo sicuro nei confronti delle cordate golpiste. Fu fatto saltare attraverso una iniziativa mai vista prima. Lunedì 21 agosto 1973 alcune decine di mogli di ufficiali si radunarono davanti al ministero della Difesa per sottoscrivere e consegnare una lettera alla moglie del generale Prats, chiedendole di intercedere presso il marito perchè la smettesse di appoggiare Allende. Prats se ne andò ma più tardi davanti a casa sua si radunarono in trecento “mogli di ufficiali”. Arrivarono altri, tra gli altri alcuni generali, di fatto alimentando la protesta, ci furono disordini. Il giorno dopo, tramite il suo numero due (Pinochet) Prats chiese una lettera di solidarietà dei generali. Niente da fare, la lettera non arrivava. A quel punto Prats si dimise, spiegando ad Allende che altrimenti avrebbe dovuto mandar via una quindicina di generali, che sarebbero insorti. Invece, andandosene, il comandante sarebbe diventato Pinochet, che avrebbe calmato le acque. Oggi sappiamo che andò diversamente. Il protagonismo femminile (non certo femminista) della destra aveva dei precedenti significativi. Il gruppo Accion Mujeres de Chile prima e Poder Femenino poi fu attivo fin dalla campagna elettorale di Allende, contro il pericolo marxista ma facendo leva su ogni elemento di disagio nella vita quotidiana. Contava anche su alcune attivista delle classi popolari, non solo sulle signore dei quartieri alti. Fu sua la geniale intuizione della marcia delle casseruole vuote, del dicembre 1971. La forma di protesta sonora è stata ripresa poi in vari paesi e momenti diversi. Indubbiamente le iniziative femminili pre-femministe della destra cilena contribuirono notevolmente a rendere più difficile la situazione per Unidad Popular.

C’è ancora chi pensa che Allende sia stato ucciso
In generale, dopo l’incertezza dei primi momenti successivi alla morte (quando si pensava che fosse stato ammazzato), la tesi del suicidio di Allende divenne ufficiale e soprattutto, quel che conta, riconosciuta dalla famiglia. Fu un suicidio di immolazione, di sacrificio e di protesta. L’ultimo discorso lo spiega: “Non mi dimetto, non mi arrendo, pagherò con la vita” ma al tempo stesso Allende non chiamò il popolo alla resistenza, anzi disse di non fare sacrifici inutili. Dato che esistevano dubbi sulla meccanica della morte di Allende, e che comunque si trattava di un avvenimento nel contesto di combattimenti, ci furono più di una autopsia e inchiesta. “Non ci fu intervento di terzi”, dice la sentenza del settembre 2012, ratificata poi dalla Corte d’Appello e dalla Corte Suprema. La famiglia di Allende e in particolare la figlia Isabel Allende Bussi, attualmente deputata, hanno pienamente accettato il suicidio. Ci sono settori della sinistra cilena, estrema soprattutto, che però non ci credono. È uscito da poco un libro “Allende, autopsia di un crimine” in cui il giornalista Francisco Marin e il medico legale Luis Ravanal sostengono che Allende fu colpito da due diversi proiettili mortali. Sarebbe stato colpito a morte in un combattimento ravvicinato e poi definitivamente freddato da un “colpo di grazia” del generale Palacios, capo degli assalitori della Moneda. L’accusa politica che gli autori del libro fanno alla famiglia Allende e ai gruppi dirigenti del partito Socialista e del centro sinistra è pesantissima: avrebbero accettato la tesi del suicidio per facilitare la transizione pacifica tra la dittatura militare e i governi di transizione.

Tutto diverso quello che sta succedendo per due diverse e illustri morti misteriose. I familiari dell’ex presidente democristiano Eduardo Frei, morto in ospedale nel 1982, pensano che sia stato avvelenato, ma la magistratura, proprio poche settimane fa lo ha escluso. Ancora aperta è la vicenda di Neruda, morto in ospedale nel 1973. Sulla base di recenti perizie si attende che la giudice Paola Plaza apra o no un procedimento giudiziario, come auspica il nipote del poeta. Per quanto riguarda Allende, in ogni caso, poco o nulla cambierebbe nell’analisi del suo comportamento il giorno del Colpo di Stato: aveva deciso di non uscire vivo dalla Moneda.

***

DIARIO DEL CILE, 1973-2013 – IL LIBRO DI PAOLO HUTTER (CLICCA QUI)

Articolo Precedente

Terremoto in Marocco, code fuori dal centro trasfusionale regionale di Marrakech per donare il sangue

next
Articolo Successivo

“Dov’è Melania?”: all’appuntamento elettorale la presa in giro per Trump arriva dal cielo

next