“Purtroppo non ho nessuna novità se non negativa… Sono disperata senza una casa e con la ditta che non termina i lavori, visto che non pago la fattura. Mi sembra solo che tutto peggiori ogni giorno di più”. Valeria è uno dei cosiddetti esodati del Superbonus. Quelli, cioè, che sono rimasti impantanati tra i cantieri di riqualificazione energetica di casa in corso, le modifiche normative e lo stop alle cessioni del crediti fiscali generati con la ristrutturazione. Una bomba, soprattutto per chi ha fatto i lavori di efficientamento energetico nel 2022 ed è stato colto alla sprovvista a metà del guado. Secondo l’associazione dei costruttori Ance 33mila imprese e 350mila famiglie sono rimaste con in mano un cerino che rischia di mandare in fumo 30 miliardi di euro. Il ministero dell’Economia ritiene che la somma sia molto più contenuta, a luglio si parlava di 7 miliardi di euro, ma sarebbe comunque una cifra di tutto rispetto.

Per Valeria, come per i suoi tantissimi compagni di sventura, il problema però non sono solo i soldi persi, ma anche la casa. Dei suoi lavori è riuscita a terminare due Sal (Stato di avanzamento lavori) da 47mila euro l’uno, pari al 60% del piano, solo che ha potuto vendere soltanto i crediti del primo Sal. E lo ha fatto a forte sconto, dopo essere rimasta bloccata in banca per mesi a causa dei controlli dei revisori che non le hanno mai dato riscontro. Ci ha perso una decina di migliaia di euro ma la prima tranche andava venduta: essendo i crediti del 2022, aveva tempo solo fino a novembre di quest’anno per cederli e più si avvicinava la fine dell’anno fiscale, meno possibilità aveva di trovare un compratore. Per il secondo Sal, che appunto è già stato completato ma va pagato, è bloccata e non sa come muoversi. Sulle piattaforme online di compravendite tra privati, lamenta, si aggirano più strozzini mascherati da mercanti, che altro. Di portare i crediti in detrazione non se ne parla, primo per incapienza, cioè per il fatto che Valeria non ha abbastanza debiti fiscali con lo Stato da scambiare con i crediti, secondo perché i soldi le servono per pagare i lavori fatti. E l’impresa non può scontarglieli, perché a sua volta è intasata di crediti fiscali che ha accettato invece del denaro sonante.

In coda, poi, ci sono i lavori ancora da fare, l’ultimo Sal da 60mila euro. Un miraggio che da marzo in poi si è alimentato con promesse e programmi politici che non hanno portato a niente. Con il cosiddetto decreto Cessioni di fine marzo, infatti, il ministro doell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva parlato di soluzioni innovative per lo sblocco dei crediti incagliati. E l’allora amministratore delegato di Enel X, Francesco Venturini, con il vertice del gruppo in scadenza, gli aveva lanciato la ciambella di salvataggio parlando di “un veicolo finanziario che acquisti i crediti fiscali, certificati come certi, liquidi ed esigibili da un primo cessionario, ed esegua un ponte per cedere nuovamente tali crediti a terzi secondo il loro calendario di scadenze fiscali, affinché ne abbiano un vantaggio diretto ed immediato”. La piattaforma, si disse a fine marzo, sarebbe partita all’inizio dell’estate. Ma a maggio non ce n’era manco l’ombra. E così il 31 di quel mese la sottosegretaria al ministero dell’Economia, Sandra Savino, ha dovuto rispondere a un’interrogazione sul tema in Commissione Finanze alla Camera. E ha parlato di operatività della piattaforma “a partire dal mese di settembre”, spiegando che “nessuna iniziativa è stata intrapresa direttamente dall’amministrazione pubblica. Risulta tuttavia che EnelX, di concerto con alcuni istituti bancari, stia lavorando alla realizzazione di una piattaforma”. Savino aveva inoltre sottolineato che, dopo le norme del dl Cessioni “solo EnelX, Intesa Sanpaolo e Sparkasse già riacquistano, mentre Credit Agricole, Unicredit e Poste stanno ultimando le procedure per dare avvio al procedimento. Tra le banche che hanno dichiarato la loro disponibilità a riattivare la cessione del credito vi è anche Banco Bpm”.

Una risposta che ha generato nuova incertezza perché chi si è affrettato a correre allo sportello ha trovato le porte sbarrate. In linea generale, infatti, il sistema bancario non ha rincominciato a comprare crediti, bensì ha continuato a fare quello che faceva prima, lavorando per fare spazio per nuovi crediti cedendo a terzi quelli che aveva acquistato e poter così mandare avanti le pratiche che erano in lista già prima del blocco. Qualcuno, come Unicredit, da aprile ha accettato nuovi clienti limitatamente alle imprese e ai professionisti che avevano scontato le proprie prestazioni in fattura per il solo 2022, con il chiaro intento di sbloccare il sistema ingessato.

Ma è chiaro che senza un’azione congiunta e concertata, che non c’è stata, è come svuotare una barca che fa acqua da tutte le parti: da sole Intesa, Unicredit e le Sparkasse non potevano e non possono certo farsi carico in tempi rapidi di miliardi di euro di crediti fiscali incagliati, sia che siano 7 o 30. Il braccio finanziario dello Stato, Cassa Depositi e Prestiti, non ha avuto nessun ruolo in partita, la banca dello Stato, Mps, neppure, mentre le Poste (sempre dello Stato), che avevano il ruolo di compratore per le famiglie e le piccole imprese, non saranno pronte a ripartire prima di ottobre.

Tardi, tardissimo, sia per chi aspetta da quasi un anno col cantiere in casa sia per le imprese (e i loro dipendenti) che non vengono pagate e confidavano nella piattaforma di EnelX che non è mai partita se non nel libro dei sogni di Venturini. La società del gruppo Enel da settimane fa sapere che “sta adempiendo agli impegni assunti a suo tempo, senza attivarne di nuovi e senza ricorso a piattaforme di complessa realizzazione”. D’altro canto senza un braccio finanziario l’operazione non poteva che nascere morta. Naturale, quindi, che poi si torni puntualmente a parlare di quanto bene o male ha fatto il Superbonus all’economia del Paese, ma non si affronta il problema dei crediti fiscali incagliati. Se non con l’ennesima, contraddittoria, proroga del Superbonus.

Aggiornato dall’autore il 9 settembre alle 10.46

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